Esiste un Richelieu della vulgata popolare, il politico freddo, arrivista, machiavellico che ci è stato restituito dalla pubblicistica avversaria e dai romanzi di Alexandre Dumas. Accanto a questa immagine stereotipata, la storiografia più recente ha ricostruito i tratti complessi e affascinanti di un uomo che nella prima metà del Seicento riuscì a trasformare la monarchia francese e la politica internazionale. È questo il Richelieu che ritroviamo nella biografia omonima scritta da Stefano Tabacchi e pubblicata da Salerno Editrice (2022, euro 27, pp. 424, anche e-book).

Nel libro di Tabacchi - documentato, rigoroso e allo stesso tempo godibile - emerge il ritratto di uno spirito genuinamente religioso, tutt’altro che privo di ispirazioni ideali, ma capace di lucida e spietata risolutezza nell’azione politica. Un’azione politica che mirava a un vasto progetto di rafforzamento del potere monarchico e di affermazione della Francia sul piano internazionale.

Il progetto di Richelieu è però impossibile da comprendere senza ricostruire, come fa Stefano Tabacchi nel suo libro, i contorni dell’epoca in cui sin trovò ad agire il cardinale. Dopo essere uscita dal periodo delle guerre di religione tra cattolici e protestanti della seconda metà del Cinquecento, la Francia era stata riunita da Enrico IV e aveva con il tempo guadagnato una posizione dominante all’interno della scena politica europea. Nel 1610, però, Enrico IV era stato assassinato da un fanatico cattolico e al trono francese era salito il giovanissimo figlio Luigi XIII, che dovette regnare per diversi anni sotto la reggenza della madre Maria de’ Medici.

Nel periodo della reggenza la monarchia si era indebolita, la nobiltà aveva rialzato la testa pretendendo la restituzione degli antichi privilegi, mentre un altro grosso problema era quello dei protestanti, le cui attività economiche e le fortezze militari di cui disponevano suscitavano l’ostilità della maggioranza cattolica. Senza una guida sicura la Francia era a forte rischio di precipitare in nuove guerre civili.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

In questi anni torbidi avvenne l’ascesa politica di Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu, cadetto di una famiglia di piccola nobiltà, ma divenuto poco più che ventenne, nel 1606, l’attivo vescovo riformatore della piccola diocesi di Luçon. Legatosi alla regina madre Maria de’ Medici, iniziò una carriera politica che venne condotta unendo a una estrema duttilità nell’affrontare la contingenza, una altrettanto estrema inflessibilità per l’obbiettivo finale: il rafforzamento della Francia.

A queste due doti Richelieu ne unì una terza che mancava a tutti i suoi avversari: la pazienza, una virtù che gli fu di grande aiuto per attendere il suo turno dopo che la sua ascesa venne bruscamente interrotta, nel 1617, dalla disgrazia della sua protettrice, allontanata dal potere dal figlio, Luigi XIII. Richelieu tornò in auge solo nel 1624, insieme a Maria de’ Medici, e seppe conquistare la completa fiducia di Luigi XIII, grazie ai successi conseguiti in politica estera e con la sconfitta dei protestanti francesi. Nella seconda metà degli anni Venti del Seicento nacque così un vero e proprio connubio tra il cardinale e il sovrano francese, un connubio di buon senso e basato sull’idea comune che per una Francia forte e potente ci voleva una monarchia altrettanto forte e potente.

In quest’ottica Richelieu non esitò a combattere con tutte le forze i nemici del suo progetto. Arrivò così a una rottura insanabile con l’antica protettrice, Maria de’ Medici, che nel 1631 fu costretta a fuggire dalla Francia. Da questo momento e fino alla morte, il cardinale fu un primo ministro se non onnipotente, sicuramente onnipresente, il centro di una estesissima rete di potere e il bersaglio di una serie infinita di congiure. Malato e stanco, negli ultimi anni continuò la sua azione che venne interrotta solo dalla morte avvenuta nel dicembre 1642, pochi mesi prima della scomparsa di Luigi XIII.

L’EREDITÀ – I semi politici lasciati sul terreno da Richelieu germogliarono nel giro di pochi anni. Lontano da ogni forma di machiavellismo, il cardinale aveva espresso una concezione del potere come una forma di razionalità, ispirata da Dio, chiamata a imporsi su una società conflittuale e lacerata. Da questa ispirazione derivò una politica fortemente assolutista che trovò poi realizzazione nel lungo regno di Luigi XIV, un’epoca in cui la Francia fu il centro del mondo.

A distanza di quasi quattrocento anni dagli eventi che videro protagonista Richelieu viene però da chiedersi cosa sia rimasto di quanto seminato dal cardinale. Ci permettiamo di rispondere che rimane l’esempio di un uomo di potere che usò la sua autorità e influenza ponendo il bene dello Stato al di sopra di ogni consorteria e di ogni interesse personale, fosse anche il proprio. La sua ambizione, per quanto immensa, non fu mai superiore al suo senso del dovere e questo ci pare un messaggio valido soprattutto oggi, parlando di potenti e governanti. Se poi leggiamo tra le sue tantissime carte scopriamo come in politica interna sostenesse che “fare una legge e non farla rispettare equivale ad autorizzare la cosa che si vuol proibire”, mentre in politica estera raccomandava “negoziate, negoziate sempre, anche mentre fate la guerra”. Se non è attuale tutto ciò, cosa lo è?

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