“Prendete due tizi qualsiasi, di sesso opposto, e buttateli in salotto alle 5 di mattina. Ci siete? Ok. I due sembrano in stato confusionale. Ballano, cantano canzoni con parole inventate, saltellano sul posto, fanno versi strani, imitano animali saltando fuori dai divani, balbettano. A un certo punto lei si toglie il reggiseno. Potreste pensare che, come minimo, hanno tirato una pista da sci. Nulla di più sbagliato. Stanno semplicemente cercando di addormentare un neonato […] Io sono lei. Quella in topless che canta, e che nelle quattro ore precedenti ha fatto cose innominabili pur di vedere quei 50 centimetri urlanti cadere in coma narcolettico. Senza successo, è chiaro”.

Lei è rimasta incinta, ma non è stata una sua scelta, è capitato. Ha comprato per scrupolo un test di gravidanza e quando ha visto le due linette rosa, non era certamente pronta per ciò che sarebbe accaduto. Ha 27 anni, passava le sue giornate tra lavoro, un bicchiere di vino al tramonto, le uscite col suo ragazzo e la spensieratezza di un’adolescenza prolungata e socialmente incoraggiata. Il suo obiettivo era quello di viaggiare e godersi la vita, motivo per cui si sente terrorizzata all’idea di affrontare una gravidanza: “Nell’immaginario collettivo la mamma è, in media e nella migliore delle ipotesi, una pacata trentacinquenne con golfino e pantaloni […] la mamma cucina per tutta la famiglia, e spesso anche per suoceri e parenti […] La mamma, le rare volte che esce, va a cena con altre coppie di genitori o- se proprio vuole dare una botta di vita- al cinema […] La mamma compra riviste che strillano in copertina ‘Tuo figlio diventerà balbuziente? Scoprilo con un test’ e lo fa pure, il test […] insomma, la Bibbia della Buona madre dice che è buono e giusto sacrificare alla causa: la propria vita sociale, la propria depilazione, i vestiti sexy, le amiche single, i viaggi in coppia, le seratine romantiche, le maratone del sesso”.

La protagonista non si sente pronta a divenire madre, in quanto troppo attaccata alla sua libertà e in preda alla paura di rivelarsi inadeguata per tale ruolo. Dopo varie incertezze e un’iniziale intenzione di interrompere la gravidanza, decide di portarla avanti. Questo comporterà uno stravolgimento delle sue abitudini e dei suoi ritmi quotidiani, soprattutto dopo la nascita della figlia: “Le neomamme di solito sono buone. Sono pazienti. E sono bugiarde […] ascoltatele, annuite, sorridete, ma ricordatevi sempre: stanno mentendo. Ve lo dico io: nei primi mesi di vita avrete la tentazione di buttare il pupo dalla finestra almeno tre volte a settimana. Di venderlo su eBay, dalle due alle cinque volte al mese. Di acquistare un volo di sola andata per Ovunquesia, facendo perdere le vostre tracce, circa un paio di volte al giorno. Poi passa”.

“Quello che le mamme non dicono” è un libro di Chiara Cecilia Santamaria, edito da Rizzoli.

È un romanzo che ben descrive, anche se in chiave ironica, le difficoltà che una neomamma attraversa durante la transizione alla genitorialità: dalle trasformazioni corporee, ai cambiamenti delle abitudini sociali e lavorative, fino al ridimensionamento dell’identità di coppia. In particolare, la nascita di un figlio implica una serie di cambiamenti, che, nelle fasi iniziali, sono correlati ai ritmi fisiologici del neonato. E questo libro ben evidenzia anche le problematicità a cui va incontro una neomamma come: la difficoltà ad abituarsi ai nuovi ritmi; la paura di non essere una buona madre; il dover fare i conti con i consigli o le opinioni su come crescere il bambino, da parte delle persone che circondano i neogenitori; fino a giungere alla consapevolezza del proprio ruolo materno, che la protagonista ben descrive: “Non sapevo come fosse desiderare un figlio, fantasticare su di lui, ridere di gioia alla vista di un test positivo, commuoversi durante un’ecografia. Però adesso sapevo com’era amare un figlio. Come se fosse sempre stato lì. Come se, senza che tu lo sapessi, la tua vita avesse sempre avuto uno spazio per lui”.

La copertina del libro
La copertina del libro
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