Una siccità estrema, che dura da anni e si porta via i raccolti, il lavoro di una vita, la ragione. La pioggia non benedice più i raccolti e le precipitazioni si sono fatte imprevedibili e violente. Nel piccolo paese dell’Oltrepò Pavese in cui abita Andrea la vita di chi coltiva la terra è sempre più difficile, basta una grandinata per perdere in poche ore il lavoro di mesi. La terra nasconde le sue risorse in profondità e così anche gli animali selvatici iniziano a manifestare comportamenti strani, Scavano dove non l’avevano mai fatto prima, vagano dove prima erano assenti. Andrea sa che la cosa migliore sarebbe andarsene, come fanno tanti, anche se è nel paese che stanno le sue radici; ma allo stesso tempo è affascinato dai misteri della natura e dalla ferocia arcaica di suo padre e suo zio, bracconieri che di notte gli consentono di seguirli nel bosco. Giorno dopo giorno, però, la siccità si porta via tutto, in un crescendo di accadimenti e di presagi che intrecciano il destino degli uomini a quello degli animali. Così per il protagonista di questo romanzo e per una piccola volpe sarà un’estate di crescita, di dolore e di perdita…

Racconto sofferto dell’Italia che è e che sarà, La siccità (Bompiani, 2023, Euro 17,00, pp. 192. Anche Ebook) è un romanzo attuale e intenso, capace di evocare la suggestione narrativa della vita dei borghi rurali e della gente che vi abita e di cogliere le epifanie che ogni stagione riserva a chi l’attraversa.

All’autore, Guido Conti, chiediamo cosa rappresenta la siccità nel suo romanzo? Solo un fenomeno naturale o è qualcosa di più?

“La siccità, come le alluvioni o le piene, di cui ho scritto negli anni, sono fenomeni estremi che pongono l’uomo di fronte al suo destino. La natura non è spesso amica, scatena la violenza e la sua forza distruttrice in un modo incontrollabile. In quei momenti sentiamo tutta la nostra impotenza e la nostra fragilità. Vorremmo dominare la natura e invece, in questa continua lotta, siamo spesso vittime. Non accettiamo che la natura ci domini e sia fuori dal nostro controllo, come accade con gli animali selvatici che entrano nelle nostre campagne coltivate o nelle città. La siccità diventa quindi un teatro estremo dove i personaggi si muovono vivendo conflitti”.

Perché Andrea non riesce ad andare via dal suo piccolo paese dell'Oltrepò?

“La siccità è prima di tutto un romanzo di formazione in cui si toccano diversi temi a mio parere decisi oggi. Qualcuno, a ragione, l’ha definito un romanzo sociale. Tra crisi economiche e crisi ambientali, che spesso sono collegate, si parla anche di continuare a lavorare in una piccola azienda famigliare, che sono quelle più esposte alle crisi e alle difficoltà. Andrea è combattuto dal restare, affrontando le difficoltà di vivere e portare avanti la piccola azienda, oppure andarsene via e trovare un lavoro altrove, più sicuro. Poi c’è lo zio che sceglierà una strada diversa. Il romanzo apre problematiche ma non dà risposte. Credo che la forza del narrare stia proprio qui”.

Cosa rappresentano i personaggi del padre e dello zio di Andrea?

“Il padre di Andrea è un uomo duro, che ha un rapporto sacro con la terra, è un uomo che non ha mai fatto una carezza al figlio. Andrea, che vive una adolescenza complessa, tra tenerezze, scoperte e anche crudeltà gratuite, osserva il mondo dei grandi. Il padre e lo zio sono bracconieri e lui vorrebbe essere e non essere come loro. Vive la caccia nel bosco ma con sentimenti contraddittori. Il padre rappresenta la terra, lo zio, invece, fa una scelta diversa e rinuncia alla terra. Andrea è in bilico tra questi diversi atteggiamenti mai definitivi e li vive con grande disagio”.

È possibile trovare un rimedio, un modo per andare avanti anche in un mondo dominato dalla siccità?

“La terra è sacra e non va violata ma rispettata, altrimenti ne pagheremo tutti le conseguenze, sia in termini di siccità o, com’è capitato in Romagna, di alluvioni. Queste sono zone paludose sotto il livello del mare, che abbiamo bonificato e sono terre ricche. Il rapporto con le acque deve ritrovare un suo equilibrio in tutta la Pianura padana, (e non solo), un’armonia che si è perduta dagli anni Cinquanta del Novecento. Ho scritto che se il Po muore, muore tutta la pianura. E purtroppo sarà così. La terra è sacra e va rispettata in tutti i suoi elementi, altrimenti la terra diventa una discarica, (vedi la terra dei fuochi), dove si mina il futuro e la salute di figli e nipoti senza alcun scrupolo morale. Lo stesso vale per l’acqua e l’aria. Gli aborigeni dell’Australia avevano capito che ci voleva rispetto verso la terra come dea sacra. Noi, in nome di un profitto e di un capitalismo senza scrupoli, l’abbiamo dimenticato”.

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