Hannah Ritchie, ricercatrice del Programma per lo sviluppo globale dell’Università di Oxford, è vicedirettrice e capo del Dipartimento di ricerca del progetto Our World in Data, che riunisce i dati più recenti sui maggiori problemi del mondo e li rende accessibili al pubblico. È quindi abituata a lavorare con la complessità di numeri che devono essere analizzati, confrontati in modo da comprende i fenomeni in maniera non banale.

Da una esperienza di questo tipo è nato “Non è la fine del mondo” (Aboca edizioni, 2024, pp. 456, anche e-book), una miniera di dati che ci fornisce non solo una guida per il futuro, ma anche l’ingrediente più importante di tutti contro l’ansia del nostro tempo: la speranza.

Il volume di Ritchie si presenta quindi come una guida, di facile lettura, per “aggiustare” il nostro Pianeta, partendo dalla consapevolezza che abbiamo gli attrezzi giusti per farlo e che qualcosa siamo già riusciti a realizzare. Per esempio, le emissioni di carbonio pro-capite sono diminuite, la deforestazione ha raggiunto il picco negli anni Novanta del Novecento, l’aria che respiriamo oggi è più pulita rispetto a qualche decennio fa. Realmente potremmo essere la prima generazione a lasciare il mondo in uno stato migliore di come lo abbiamo trovato.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Per farlo dobbiamo però allargare lo sguardo e a riconsiderare quasi tutto ciò che ci è stato detto sull’ambiente e la crisi climatica, sfidando l’idea, comunemente accettata, che i primi esseri umani vivessero in modo sostenibile in contrapposizione allo stile di vita contemporaneo, ritenuto intollerabile per il proprio impatto sull’ecosistema. Ribaltando alcuni falsi miti su cui abbiamo costruito la nostra coscienza ambientalista – dall’esaltazione dell’alimentazione a chilometro zero e della vita in campagna, alla demonizzazione della sovrappopolazione, delle cannucce in plastica e dell’olio di palma –, Non è la fine del mondo ci fornisce gli strumenti per capire su cosa dobbiamo concentrarci urgentemente per poter consegnare un pianeta sostenibile alle generazioni future.

Come Ritchie dimostra, dati alla mano, un futuro migliore sia per le persone, sia per il pianeta è possibile e raggiungibile. L’importante è non cedere al sensazionalismo e trovare delle soluzioni pragmatiche che tengano conto delle esigenze di una umanità formata da più di otto miliardi di individui. Persone che non tutte hanno le possibilità di noi occidentali, anche in tema di sostenibilità.

Un libro, quindi, non negazionista dei grandi problemi che abbiamo, ma negazionista di un certo catastrofismo, che non ci porta da nessuna parte e che, soprattutto, non ci possiamo permettere se vogliamo fare le cose per bene.

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