La scienza, col suo metodo, ci ha insegnato che solo partendo da uno sguardo d'insieme siamo capaci di vedere il particolare. Ogni particolare, infatti, è spesso inserito in un insieme più grande. Questo vale per la scienza in generale, per la medicina, per le scienze sociali, per la storia e, naturalmente, dovrebbe valere per la politica. Per estendere il concetto potremmo dire che senza una comunità non potrebbe esistere un individuo.

In quest'ottica si può capire meglio il mondo di relazioni che condiziona le nostre vite, le nostre comunità, la salute, la mortalità e il benessere. Studi importanti aiutano a capirlo.

L'Atlante italiano delle disuguaglianze di mortalità per livello di istruzione, di recente pubblicazione, affronta questo rapporto. Per la prima volta la relazione fra mortalità e istruzione è stata analizzata su scala nazionale. Lo studio, effettuato dall'Istituto per la promozione della salute e dall'Istat, ha drammaticamente mostrato come nelle fasce di età di 25-64 anni il rischio relativo di morte per tumore è 2,13 volte superiore per chi ha un basso livello di istruzione rispetto a chi ha un titolo di studio elevato. In questa stessa fascia di età il rischio di morte per cause violente, nelle due popolazioni messe a confronto, è 3,92 volte maggiore.

La speranza di vita è quindi il reciproco valutato dallo studio.

Abbiamo a disposizione i dati della Sardegna. Vediamo i dati dei maschi.

Per chi ha un titolo di studio basso la speranza di vita è di 78,8 anni. Aumenta a 80,9 anni con un titolo di studio medio, per arrivare a 82,3 anni con un titolo di studio alto. L'istruzione, quindi, anche nel caso della Sardegna può dare anche 4 anni di vita in più senza contare che la bassa scolarità si accompagna a diabete e tumori. La conclusione è che per tutelare la salute dobbiamo investire nel sistema educativo. E questa relazione dovremmo farla capire ai genitori.

Come non tener contro di questi dati? Ma possiamo chiederci, a questo punto, quante comunità possiamo contare in Sardegna? Almeno sette se facciamo riferimento ai sette candidati alla presidenza della regione, ognuno dei quali parlava, faceva riferimento ad una sua comunità. Ma se le comunità reali sono, forse, ancora più numerose, allora, cosa ci tiene assieme? È su questo che non abbiamo mai discusso e lo dobbiamo fare velocemente per provare ad essere protagonisti di una comunità condivisa. Perché per dare un futuro alla nostra terra non servono spicchi di risposte alle nostre difficoltà.

Abbiamo il record dei suicidi e della dispersione scolastica, primeggiamo nell'uso di antidepressivi, abbiamo smesso di fare figli, i nostri paesi continuano a spopolarsi, abbiamo un saldo negativo fra nascite e morti di meno 6.600, ogni anno migliaia di giovani emigrano e questi due fattori comportano una diminuzione della popolazione di circa 10.000 abitanti l'anno. Allora dobbiamo riprendere a parlare della nostra comunità, di come costruirne una nella quale ci sentiamo tutti cittadini partecipi.

In tutti questi anni chi ha amministrato la Sardegna ha dato risposte sintomatiche ad un malessere più grande. Non abbiamo capito che la nostra gente non ha più fiducia nel futuro, ha perso la speranza di un domani migliore, si è arresa. Questa è la nostra malattia. Per cominciare dobbiamo assicurare ai nostri concittadini, la cui vita è stata un peso, che essi non saranno abbandonati.

Antonio Barracca

(Medico)
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