Tra storia e leggenda, popolata da banditi e cow-boy, sceriffi e outsider, l’epopea del West pone ancora affascinanti interrogativi su quanto labile possa essere il confine tra diritto e violenza, tra “buoni” e “cattivi”, tra giustizia e libertà. Il racconto western, infatti, si snoda seguendo le piste carovaniere e i treni a vapore che attraversano i grandi spazi americani.

Sull’incerta linea della frontiera, lì dove il mondo civile scopre il proprio limite, si muove il fuorilegge, vero e proprio mito fondativo degli Stati Uniti, protagonista dell’immaginario western. Un mito capace ancora di essere attuale come dimostra il volume “La vita fuorilegge” (Salerno Editrice, 2022, pp. 180) scritto da Tommaso Gazzolo, professore associato di Filosofia del Diritto all’Università di Sassari. Attraverso un’analisi che alterna la cronaca dell’epoca alla narrazione della letteratura popolare – e, più tardi, del cinema –, il libro prova allora a riflettere sull’ambiguo rapporto tra norme e vita, tra civiltà e natura selvaggia.

E prova a rispondere a una questione dai risvolti quanto mai moderni: che cosa significa vivere fuori della legge? È la prima domanda che poniamo a Tommaso Gazzolo:

«Per capirlo, bisogna riferirsi alla logica del ‘bando’, ossia ad un atto attraverso il quale la legge pone qualcuno ‘al di fuori’ della sua sfera di applicazione – il che significa: al di fuori tanto dal dovere di rispettare i suoi comandi, quanto però dalla protezione e dal rispetto dei diritti che essa accorda anche a chi la trasgredisce. Il punto importante è non confondere la vita ‘fuori’ dalla legge con una vita ‘senza’ o ‘prima’ della legge: la legge, infatti, nel nostro caso continua ad esserci – è essa, del resto, che ha ‘bandito’ la vita. Il fuorilegge continua a sentire il suo fiato sul collo, e sa che la sua vita è quella che è perché è la legge ad averla resa così. Ed è questo che è paradossale: che la legge resta presente, in qualche modo, ma nella sua assenza; resta come presenza di un’assenza, come abbandono».

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Ma davvero, come leggiamo nel libro, un fuorilegge non è per forza un criminale?

«A rigore, direi che non lo è mai. Se, infatti, il fuorilegge per definizione è qualcuno a cui la legge non si applica, egli non può mai, propriamente, trasgredirla o violarla. Questo non significa, ovviamente, che i fuorilegge, spesso, non commettano anche atti criminali: rapine, sequestri, omicidi. Allora certamente la legge li cerca, li processa, li punisce – ma, appunto, in quanto criminali, non in quanto fuorilegge».

Come ha scritto da Bob Dylan “per vivere al di fuori della legge, bisogna essere onesti”?

«Penso di sì. Dylan sta dicendo qualcosa del tipo: se vivi dentro la società, all’interno delle sue leggi, non hai bisogno di essere onesto, puoi anche essere un criminale, un delinquente – la società in fondo protegge i propri delinquenti, anche quando li punisce, rispetta i loro diritti, e così via. Ma se stai ‘fuori’ dalla legge, se nessuna protezione ti è accordata, le cose sono più complicate. Non hai qualcuno che ti dica cosa è giusto e cosa è sbagliato fare, non hai qualcuno che, anche se non sei stato tanto onesto, alla fine ti lascia andare. Qui tutto dipende da te».

In che senso la figura del fuorilegge mette in crisi, anche oggi, il nostro modo di intendere la giustizia e nello stesso tempo ne è il fondamento?

«Non è facilissimo spiegarlo. Nel momento in cui c’è la legge, essa dice sempre, anche: non c’è altra giustizia che quella che punisce chi viola la legge e difende chi ha visto violare i diritti che la legge gli accorda. Dice, cioè: non c’è giustizia ‘al di fuori’ della legge. Il che però implica un paradosso: da una parte, la giustizia ha bisogno di riportare al suo interno ogni conflitto che pretenda di risolversi al di fuori di essa; dall’altra, però, visto che non può esistere nessun ‘dentro’ senza un fuori, nessun interno senza un esterno, il fatto stesso di rendere risolvibili alcuni conflitti implica produrne altri che per definizione non possono essere ‘giustiziabili’. Il filosofo francese Jean-François Lyotard lo ha detto comunque molto meglio di me, quando ha distinto il concetto di ‘lite’ da quello di ‘dissidio’».

Ma per vivere abbiamo sempre bisogno della legge?

«Questa è propriamente una domanda diabolica, per un semplice fatto: che noi non possiamo pensare a come sarebbe una vita ‘senza’ legge, se non guardandola, immaginandola dal punto di vista della legge. Si sentono spesso dire cose del tipo: senza legge, gli uomini si ucciderebbero per un nonnulla, darebbero libero sfogo alle loro passioni più violente, etc. Questo è l’errore che facciamo sempre: pretendiamo di dimostrare come gli uomini vivrebbero senza legge, descrivendo in realtà come essi si comportano nella vita che conducono sotto la legge, nelle società governate dalla legge. Se c’è qualcosa che possiamo sapere, allora, è che certamente l’uomo che vive sotto la legge, che è poi l’uomo per come lo conosciamo, fa tendenzialmente schifo – è spesso meschino, diffidente verso il prossimo, è violento, stupido, e così via. Su come sarebbe invece l’uomo se si liberasse dalla legge non sappiamo, ma ci sarebbe forse da sperare di più, se non altro perché, per poter essere in grado di vivere senza la legge, dovrebbe aver abbandonato molte delle sue cattive abitudini. Quasi mai ricordiamo, del resto, che, a rigore, la legge, se correttamente intesa, dovrebbe avere come proprio ideale quello di rendersi superflua: la sua vera realizzazione sarebbe la sua fine».  

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