Pane, il cibo di tutti
Nel saggio di Gabriele Rosso il viaggio di questo alimento dalla notte dei tempi ai giorni nostriPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Omero, nell’Odissea, definisce gli esseri umani in maniera molto semplice e pratica: sono “mangiatori di grano e di pane”. Sono passati quasi tremila anni da quando furono scritte queste parole e molta acqua è passata sotto i ponti, ma noi uomini e donne del XXI secolo ci siamo poi così tanto distanziati dalla definizione omerica? La risposta a questa domanda la troviamo nel bel saggio di Gabriele Rosso “”Storia del pane” (il Saggiatore, 2024, pp. 184, anche e-book) in cui l’autore ci guida in un viaggio all’interno della storia e delle evoluzioni di questo cibo primigenio, alla scoperta di miti e innovazioni, cambiamenti politici e trasformazioni economiche legate all’alimento che più di ogni altro ha influenzato lo sviluppo della società.
Bianco, nero, lievitato, azzimo, di forno, industriale, fresco, a lunga conservazione, il pane ci fa compagnia ieri come oggi. Ripercorrerne la storia, soprattutto quella più distante da noi, significa salire su una vera e propria macchina del tempo. Nell’antica Mesopotamia, per esempio, il pane di solito non era lievitato, ma a volte era aggiunta, come lievito, la pasta inacidita o direttamente il lievito di birra. L’impasto di farina con acqua e sale era cotto o su un piano di pietra posto direttamente sul fuoco, o su un piatto collocato in un forno di argilla, oppure facendo aderire l’impasto sulla parete di ceramica di un forno. Il pane era prodotto in casa dalle donne della famiglia, ma presso templi o palazzi esistevano veri e propri laboratori e già si producevano numerose varietà di pane: “pane di miele”, “pane di sesamo”, “pane di formaggio”, “pane di ceci”, “pane dolce” ecc.
Per i pani più elaborati si aggiungevano all’impasto sostanze dolcificanti (miele e fichi) e aromatiche (sesamo o cumino). Solo raramente si parla di pane di frumento, per lo più nelle zone settentrionali della Mesopotamia.
Gli Egizi erano famosi per il loro pane: la farina che si otteneva dagli abbondanti raccolti lungo il Nilo veniva impastata con acqua e fatta lievitare aggiungendo, solitamente, i residui di pasta inacidita dei giorni precedenti, oppure il lievito di birra. In epoca più antica si usava cuocere il pane su lastre di pietra arroventate; a partire dal Nuovo Regno furono introdotti forni a forma di tronco di cono, in terracotta e mattoni crudi, simili a quelli usati ancora oggi nell’Egitto meridionale.
Sappiamo che esistevano almeno 40 tipi di pane, a seconda della farina che veniva usata e degli ingredienti aggiunti (datteri, miele, semi di papavero, semi di sesamo ecc.). Un’altra caratteristica del pane egizio era la forma: nelle tombe, infatti, sono stati trovati pani conici, circolari, semicircolari, triangolari, a ciambella, ma anche a forma di animali o di bambole! In Grecia si conoscevano ben 65 tipi di pane: di farina di frumento, di segale, di farina d’orzo e molti altri, impastati con il latte o con il miele e spesso arricchiti con semi di sesamo o di cumino. Il pane era sicuramente l’alimento principale in ogni casa: sulle tavole più modeste poteva esserci il kódraton, cioè la pagnotta divisa in otto spicchi con quattro tagli, mentre più raffinato era il boletínos, panino a forma di fungo, cosparso di semi di papavero. Sappiamo inoltre che focacce al miele erano offerte alle divinità. Il pane romano era noto per la sua durezza; il lievito impiegato, con mosto d’uva o pasta di pane, era preparato una volta all’anno, al tempo della vendemmia. Ne esistevano, tuttavia, molti tipi a seconda dei differenti impasti, metodi di cottura e usi: pane di farina di grano tenero, pane con una setacciatura più grossolana e più povero, pane cosiddetto integrale, gallette, che si conservavano più a lungo e quindi erano destinate ai soldati, e anche il pane destinato ai cani! Meno diffuso era un tipo di pane più morbido, spugnoso e in grado di assorbire maggiore quantità d’acqua. Oltre al tipo di cereale o alla quantità di lievito, era l’impasto a fare la differenza: leguminose, castagne e ghiande davano sapore al pane più umile, mentre i pani più raffinati erano arricchiti da spezie, latte, uova o miele.
Insomma, già nell’antichità con il pane ci si sbizzarriva, anche perché questo alimento ha rappresentato non solo un nutrimento fondamentale ma anche e soprattutto un simbolo che ha definito l’essere umano e ne ha plasmato l’immaginario. Siamo partiti, non a caso da Omero, ma potremmo citare il Dio del Nuovo Testamento che si fa «pane vivo, disceso dal cielo» oppure il pane quotidiano presente sulle tavole medievali e gli assalti ai forni durante le carestie nei secoli successivi. Possiamo poi proseguire con l’ideazione del Wonder Bread da supermercato, con la scomparsa della qualità in funzione di una produzione di massa, fino alla recente riscoperta della figura del fornaio e della panificazione artigianale di alto livello.
Storia del pane ripercorre i tanti mutamenti tecnici e valoriali che hanno portato questo cibo a diventare una commodity capace di giocare un ruolo persino negli scenari geopolitici: basti pensare all’importanza assunta dal grano nel conflitto russo-ucraino. In sintesi, il pane è uno alimento- specchio di noi stessi, nel quale da migliaia di anni guardiamo il riflesso delle nostre azioni, delle nostre paure e delle nostre speranze. Come è scritto nel libro biblico del Qoelet: «Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai. Fanne sette od otto parti, perché non sai quale sciagura potrà succedere sulla terra».