“Non pensavo mai a mio padre. Non intenzionalmente, almeno. In me serbavo di lui solo frammenti di ricordo, flash che mi sfrecciavano davanti agli occhi e non sapevo mai come afferrare; attimi che forse avevamo vissuto insieme, ma che mi faceva troppo male richiamare alla memoria. E più mi concentravo a ricordare, più quei ricordi sembravano nascondersi per non lasciarsi trovare. La mia mente era come una distesa di sabbie mobili: più richiamavo il pensiero di lui e più questo veniva inghiottito, sepolto e messo a tacere”.

Vittoria ha perso suo padre quando era bambina e di lui non ricorda quasi nulla. Vive con sua madre, una donna rigida, solita ai rimproveri e alle recriminazioni, amante delle apparenze e della vita sociale. Pretende che la figlia diventi la sua perfetta controfigura. Le è vicina fisicamente, ma non emotivamente, perché ha smesso perfino di abbracciarla.  

Vittoria ha imparato a indossare la maschera della ragazza perfetta: bella, ricca, con un’intelligenza sopra la media. Studia all’università, esce con gli amici e ascolta musica; ma da un po’ di tempo ha cominciato a manifestare un disagio: ha paura di smettere di respirare da un momento all’altro e teme di morire. A tal proposito, decide di affrontare un percorso di psicoterapia.

Vittoria si sente sola e invisibile agli occhi della madre, perché questa tende sempre a non ascoltarla o a non comprendere la sua tristezza. Un giorno trova per caso, nel cassetto della stanza matrimoniale dei genitori, i cocci di un oggetto rotto, che le richiama alla memoria qualcosa di familiare.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Sarà grazie a questo oggetto che la ragazza si rimetterà in contatto con il dolore per il lutto del padre: “Ogni piccola cosa interrotta della nostra vita rimane come un sassolino nella scarpa che, a ogni passo, ci procura dolore. Possiamo decidere di smettere di camminare del tutto, oppure possiamo sfilarci la scarpa e liberarci del sassolino. Non gettandolo via, ma conservandolo nel palmo della mano, dove non ci farà più così male”.

Vittoria ricomporrà i pezzi dell’oggetto, per scoprire che si tratta del suo carillon di ceramica rosa, che le aveva portato in un regalo suo padre, al ritorno dai suoi tanti viaggi. Lo stesso che aveva fatto cadere accidentalmente, da bambina, e per il quale aveva sofferto tanto; proprio perché suo padre glielo aveva regalato con un patto: la melodia del carillon l’avrebbe accompagnata come un voce, nei momenti in cui lui sarebbe stato assente.

Ricomponendo i pezzi di quell’oggetto, si ricompongono i ricordi di Vittoria, e con questi riaffiorano le parole del padre: “Dovrai prima promettermi una cosa […] che non nasconderai mai le tue ferite, piccola mia. Perché ogni ferita guarita, ogni cosa spezzata, interrotta e poi aggiustata è più preziosa dell’oro”.

Vittoria attraversa il suo dolore, accettando le sue fragilità e imparando a convivere con queste. Apprende  che le cose possono sempre aggiustarsi, anche la sofferenza per la morte di un genitore.

IL ROMANZO – “Ogni piccola cosa interrotta” è un romanzo di Silvia Celani, edito da Garzanti.

Un libro che fa emergere come un lutto possa giungere a sconvolgere l’ordinarietà di un sistema famigliare, diventando in questo modo indicibile e difficile da elaborare.

La capacità di elaborazione di un lutto richiede una fase di accettazione della perdita, che comporta il passaggio di diverse emozioni: incredulità, tristezza, rabbia e sensi di colpa; stesse emozioni che, talvolta, rimangono congelate in un meccanismo di non accettazione della perdita e di negazione della realtà. La protagonista, infatti, impara, prendendo spunto dalla tecnica giapponese del kintsugi, a ricomporre i pezzi del suo dolore e a risanare le ferite, rendendo la sua fragilità più preziosa e maturando una consapevolezza: “Tutti hanno bisogno di una fune per risalire il crinale del proprio dolore”.

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