A fine giugno è arrivato sugli schermi italiani un film molto atteso dagli appassionati di danza e non solo. Parliamo di "Nureyev – The White Crow", pellicola che ricostruisce la giovinezza di uno dei miti del Novecento, il ballerino russo Rudolf Nureyev.

Il regista del film, il britannico Ralph Fiennes, ha raccontato di aver deciso di raccontare la vita di Nureyev dopo aver letto l'accurata e imponente monografia che la giornalista Julie Kavanagh ha dedicato a quello che veniva chiamato, per la sua velocità e le sue acrobazie, "il tartaro volante". Oggi questo volume, intitolato in italiano semplicemente "Nureyev. La vita" (La Nave di Teseo, 2019, pp. 973), giunge anche nelle nostre librerie nell'accurata traduzione di Viviana Carpifave e si presenta come un'occasione per conoscere non solo un danzatore dal talento straordinario, ma un uomo dotato di una personalità fuori dal comune. Una personalità che lo ha portato a dare sempre il massimo, sia sul palcoscenico, sia nella vita quotidiana, e che lo ha spinto a osare sempre e a innovare anche a rischio di subire contestazioni e critiche durissime.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Il libro di Julie Kavanagh non si limita però a raccontarci il Nureyev più conosciuto. Vi ritroviamo, infatti, l'infanzia di Rudolf, dalla sua nascita avventurosa, avvenuta nel 1938 nel mezzo della Siberia su un vagone passeggeri della Ferrovia Transiberiana, fino ai primi approcci con la danza in un villaggio sperduto dove la sua famiglia si era rifugiata durante le Seconda guerra mondiale.

E poi l'ingresso nella leggendaria scuola del Kirov a Leningrado e la scoperta, destabilizzante per il giovane Nureyev, che essere un grande ballerino nell'Unione sovietica degli anni Cinquanta significava diventare uno strumento nelle mani del regime comunista al potere. Il talento di Rudolf rischiava di diventare semplicemente un simbolo della potenza dello Stato sovietico. Il grande ballerino, però, era consapevole che la sua grandezza apparteneva solo a lui stesso e al pubblico. Così, a poco più di vent'anni, nel 1961, decise di lasciare la patria per vivere in Occidente.

Liliana Cosi e Rudolf Nureyev (foto da Google)
Liliana Cosi e Rudolf Nureyev (foto da Google)
Liliana Cosi e Rudolf Nureyev (foto da Google)

Sapeva di possedere tutto: bellezza, genio artistico, fascino, sex appeal e tecnica. Divenne rapidamente un mito grazie anche allo straordinario sodalizio artistico con Margot Fonteyn al Royal Ballet di Londra e alla sua voglia di innovare la danza unendo balletto classico e ritmi moderni in un sincretismo che fece storcere il naso a molti puristi ma diede all'universo del ballo una popolarità mai avuta prima.

Nureyev era questo: un grande innovatore che non aveva paura di rischiare in prima persona e non si risparmiava mai, sapendo di poter contare non solo sul suo genio artistico, ma anche su una vitalità e una forza fisica fuori dal comune, cose che lo rendevano unico sul palco. Forse per questo le pagine più toccanti del libro sono quelle che riguardano gli ultimi anni del grande danzatore, quando con l'età cominciò a scemare la sua straordinaria energia e arrivò la conferma di aver contratto l'Aids.

Di fronte all'avanzare della malattia Nureyev continuò a vivere come aveva sempre fatto, come un lottatore che non si vuole arrendere neppure di fronte all'evidente superiorità dell'avversario. Amava dire che "ognuno vorrebbe esser il più grande, ma Dio non può accordare quest'onore a tutti". Dentro di sé, probabilmente, era convinto che l'onore Dio a lui l'avesse in qualche modo accordato e che andasse goduto fino all'ultimo respiro.
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