Ci siamo: dopo mesi di discussioni, scommesse, battaglie più o meno alla luce del sole si entra finalmente nel vivo dell’elezione del nuovo Presidente delle Repubblica. E come in ogni votazione presidenziale che si rispetti non mancano e non mancheranno anche questa volta trattative segrete, intrecci sorprendenti, compromessi o inciuci. La posta, sette anni al Quirinale, è desiderata da molti e non c’è leader politico che non abbia l’ambizione più o meno segreta di vedersi votare dai grandi elettori fino a raggiungere il quorum necessario a diventare Capo dello Stato.

Un’ambizione che è ancora più sentita negli ultimi anni, da quando il Presidente della Repubblica è diventato sempre di più il centro di equilibrio attorno al quale ruotano tutti gli altri poteri: politici, economici, interni e internazionali. Di fronte al venir meno dei partiti, in una società attraversata da ansie e incertezze l’inquilino del Quirinale ha assunto un ruolo sempre più importante e quasi taumaturgico di fronte ai mali del sistema politico italiano come ci conferma Marco Damilano, direttore de L’Espresso e autore del volume "Il Presidente” (La nave di Teseo, 2021, pp. 352, anche e-book) in cui ricostruisce le elezioni del passato intrecciandole con le storie dei presidenti che si sono succeduti dal dopoguerra a oggi:

“Il ruolo del Presidente della Repubblica è sempre stato importante, ma non così centrale come lo è da qualche decennio a questa parte come dimostra l’interesse spasmodico che circonda oramai ogni elezione. Fino al 1992 il Capo dello Stato aveva una funzione di garanzia, agiva come facilitatore tra i partiti. Ed era una sorta di notaio che prendeva atto e certificava le decisioni prese nelle segreterie delle formazioni politiche”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Poi cosa è cambiato?

“È entrato in crisi il sistema dei partiti e i presidenti, dal 1992 in poi, sono dovuti intervenire attivamente per evitare il crollo del Sistema Italia. Questo cambiamento è già evidente con Francesco Cossiga, la cui presidenza fa un po’ da spartiacque tra prima e seconda Repubblica. Eletto nel 1985, per cinque anni ha un atteggiamento notarile, poi diventa il picconatore del sistema dei partiti. La necessità di intervenire si è accentuata nel tempo e si è confermata con Sergio Mattarella che ha dovuto fare i conti con quest’ultima legislatura nata nel 2018. Una legislatura priva di maggioranza politica e con leadership deboli e nevrotiche”.

In quest’ultimo periodo si è parlato molto di un trasloco di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale. Si vuole un presidente che abbia anche il mandato di governare il Paese?

“È come se si volesse creare di fatto un semi-presidenzialismo che non esiste nella nostra Costituzione. Un Presidente della Repubblica che detenga il potere esecutivo sarebbe certamente una forzatura costituzionale, però è anche vero che l’inquilino del Quirinale un certo potere lo l’ha: nomina il capo del governo e i ministri, su proposta del Presidente del Consiglio. Ora ci troviamo per la prima volta a prendere in considerazione la possibilità che il leader del governo si trasferisca direttamente al Quirinale, avendo poi la possibilità di dare l’incarico di formare il nuovo esecutivo magari a uno dei suoi attuali ministri. Nei fatti a un cambiamento epocale, una riforma istituzionale di cui prendere atto”.

Una situazione di questo tipo cosa ci dice dello stato di salute delle nostre istituzioni?

“Ci dice che le cose non vanno bene. Guardiamo solo a quello che è accaduto durante il settennato di Mattarella: il Parlamento ha perso sempre di più le proprie prerogative diventando un semplice ‘votificio” dei provvedimenti del governo, una tendenza che l’emergenza Covid ha accentuato. Il dibattito parlamentare è scomparso, spazzato via dai voti di fiducia. E non sta meglio il Consiglio Superiore della Magistratura che è al centro di scandali, dimissioni dei suoi componenti. È di fatto delegittimato dal suo ruolo di autogoverno della magistratura. La crisi attuale riguarda anche l’esecutivo dato che Mattarella ha dovuto dare vita a un governo di unità nazionale guidato da Draghi dato che la politica forniva la sensazione di non potere più gestire il Paese. L’unica istituzione che è rimasta in piedi è la Presidenza della Repubblica e la sensazione è che se venisse meno anche questo caposaldo per l’Italia sarebbe il tracollo. Per questo la successione di Mattarella provoca tanta fibrillazione anche nella società italiana”.

Come sarà l’elezione del prossimo Capo dello Stato?

“Sarà un’elezione senza precedenti perché da due anni stiamo vivendo una emergenza eccezionale e questo si riverbererà anche sulla votazione presidenziale. Non sappiamo, per esempio, quanti votanti non potranno esserci a causa del Coronavirus. E poi c’è il fattore Draghi, che catalizza il favore e l’opposizione degli opposti schieramenti. Quindi siamo di fronte a una elezione dai contorni indefiniti: potrebbe chiudersi rapidamente oppure complicarsi per aprire scenari inaspettati, come è successo tante volte in passato con i cavalli di razza azzoppati in vista dell’arrivo e l’outsider che taglia il traguardo spuntando dal nulla”.

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