Michel Pastoureau non è solo un grande storico dell’arte e la massima autorità al mondo a proposito dei colori e dei loro significati simbolici. È soprattutto una persona curiosa. Ovunque ama guardarsi in giro, cogliere le peculiarità dello spazio in cui si trova e osservare le persone. In particolare, da sempre, è incuriosito dai colori perché dietro la scelta di ogni cromia, di ogni sfumatura, di tonalità secondo Pastoureau non c’è mai il caso. I colori infatti ci aiutano a capire la storia dei luoghi, degli uomini e delle donne. Sono un modo per comprendere l’evoluzione della nostra società perché ci raccontano come cambiano le gerarchie, i modi di esprimere il proprio stare al mondo e il proprio desiderio di farsi notare oppure no.

È stato così nel passato. Continua a essere così oggi come emerge nel recente Un colore tira l’altro (Ponte alle Grazie, 2019, pagine 229, euro 16. Anche Ebook) in cui il grande studioso francese ci propone una sorta di diario “cromatico”. Un diario intimo e personale in cui Pastoureau prende a pretesto momenti della sua quotidianità, incontri, viaggi nelle località più disparate per dimostrare quanto sia vero quanto affermato dal pittore Vasilij Kandinskij: "Il colore è un mezzo di esercitare sull'anima un'influenza diretta. Il colore è un tasto, l'occhio il martelletto che lo colpisce, l'anima lo strumento dalle mille corde".

In questo divertente volume, seguiamo allora Pastoureau nelle sue giornate e lo vediamo alle prese con lenzuola sorprendentemente nere in una camera d’albergo dominata dal bianco a Zurigo oppure con un gelato dalle forti tinte blu in una piazza di Lucca. E ancora rimanere stupito di fronte ai colori dei cartelli stradali oppure al rosso acceso di un abito di Hillary Clinton.

Emergono nel racconto dello storico dell’arte prima di tutto le vicende antiche che stanno dietro ai colori, gli aneddoti poco o per niente conosciuti e che ci aiutano a capire come si è costruita la società in cui viviamo. Punto di partenza un dogma irrinunciabile per Pastoureau: "Che lo si voglia o no, nelle società occidentali ci sono solo undici colori; sei di base: bianco, rosso, nero, verde, giallo, blu; e cinque secondari: rosa, arancione, viola, grigio e marrone". Al di là di questo non c’è altro, nonostante la tecnologia ci parli di schermi capaci di restituirci migliaia di cromie. Al di là degli undici citati ci sono solo sfumature e sfumature di sfumature, che non hanno né storia né simbologia proprie, e variano continuamente a seconda dell’illuminazione, della tecnica, del supporto, dell’occhio dello spettatore e dell’ora del giorno. Quelli che interessano Pastoureau sono invece gli undici colori che hanno storie da raccontarci, quelli che i bambini possono mescolare per alimentare fantasie.

Prendiamo, per esempio, il giallo, colore che nel Medioevo era prediletto dalla nobiltà perché simile all’oro e del Sole. Ebbene, oggi nessun potente della Terra sfoggerebbe un abito color limone come invece avrebbe fatto con gioia un sovrano di mille anni fa. Il giallo è diventato altro, sinonimo di una certa sgargiante estrosità a meno di non essere in testa al tour de France di ciclismo. Oppure nelle pagine del libro scopriamo che mentre oggi il rosa e il rosso sono colori tipicamente femminili mentre il blu e l’azzurro sono più spesso associati agli uomini, secoli fa era l’esatto contrario e il rosso, simbolo di fuoco e forza, era cromia che più virile non si poteva. Insomma, ogni pagina del diario è una piccola e sorprendente avventura legata a un’idea di fondo come ci dice Pastoureau: "Prima di essere luce o materia, prima di essere sensazione o percezione, un colore è un’astrazione, un’idea, un concetto". È parte di noi e della nostra storia.

La copertina
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