Si ritiene che la vita sulla Terra sia avvenuta per un processo naturale con il quale la vita stessa sia originata a partire da materia non vivente, come semplici composti organici. Ma comunque, gli esseri viventi sulla Terra esistono oggi solo perché, prima di loro, altri esseri si sono riprodotti per miliardi di anni.

Ma c’è in tutto ciò uno scopo per cui da un batterio si formano due batteri e così via? Parrebbe di no perché in tutto il mondo vivente la riproduzione svolge il ruolo specifico di essere il fine di ogni singolo organismo che esclude altre finalità degli organismi in generale. Potremmo usare le parole di Democrito: “Tutto ciò che esiste è frutto del caso e della necessità”. E il caso e la necessità è proprio il titolo di un volume nel quale Jacques Monod, premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1965, affronta i temi della ereditarietà. Dal punto di vista genetico, l'essere vivente rappresenta l'esecuzione di un programma che, tuttavia, nessuna volontà ha scelto e nessuna intelligenza ha concepito. Analizzare il concetto di ereditarietà significa percorrere, a una a una, tutte le tappe della biologia.

Nel saggio, Monod discute le conseguenze metafisiche e spirituali delle grandi scoperte della biologia molecolare e della genetica, e associa a questioni come l’origine della vita o l’evoluzione delle specie, concetti apparentemente impropri come il caso o la necessità.

Chi siamo, che posto abbiamo nell’universo, che senso diamo alla nostra vita, sono tutte domande che l’uomo da sempre si pone e che continua a porsi accomunando in questo scienziati e filosofi. Attraverso lo studio del Dna antico è possibile studiare anche la nostra storia evolutiva. È quanto hanno fatto ricercatori dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche e di UniSassari che hanno pubblicato su Nature Communications i risultati delle analisi effettuate a livello dell’intero genoma sul Dna estratto da resti ossei preistorici di 70 individui, provenienti da più di 20 siti archeologici sardi su un periodo che parte dal Neolitico Medio e arriva fino al Medioevo. “Per questo i sardi odierni evidenziano un più elevato grado di somiglianza genetica con i campioni di Dna estratto da resti preistorici provenienti dallo stesso territorio ma anche da siti pre-neolitici (oltre 10.000 anni fa) dell’Europa continentale.” Lo studio conferma che queste somiglianze sono più marcate nelle aree storicamente più isolate quali l’Ogliastra e la Barbagia.

I sardi contemporanei rappresentano quindi una riserva di antiche varianti della sequenza del Dna risalenti a linee di ascendenza proto-europea, attualmente molto rare nell’Europa continentale. La invarianza genetica delle popolazioni grazie all’insularità ed all’isolamento intra regione ha confermato che i geni concorrono a determinare anche il nostro carattere, la nostra personalità, il nostro comportamento. Essi sono il risultato dell’interazione tra il patrimonio genetico che ognuno eredita dai propri genitori al momento del concepimento e l’ambiente in cui si trova a crescere e a vivere.

Le comunità della Sardegna sono ancora un unicum: con un lessico simile, un costume tradizionale, regole e rapporti sociali, fondati su amicizie, conoscenze, raccomandazioni. Invariate nei secoli.

Antonio Barracca

© Riproduzione riservata