Libere, alla ricerca di Dio
Lucetta Scaraffia ci racconta otto mistiche laiche del NovecentoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Il termine misticismo ci riconduce immediatamente all’idea di un sentimento di contemplazione, venerazione o adorazione della dimensione del sacro o della divinità. Un sentimento trascendente, profondamente religioso e che ci appare così lontano dalla nostra modernità, laica e secolarizzata. Eppure, come ha scritto la filosofa María Zambrano “la mistica è una possibilità della natura umana”, una possibilità che non per forza attiene all’esperienza religiosa. Non a caso un filosofo apertamente agnostico come Bertrand Russell è autore nel 1918 di uno scritto dal titolo, Misticismo e logica, nel quale asserisce che “i più grandi filosofi hanno sentito il bisogno sia della scienza sia della mistica. […] La mistica è, in sostanza, poco più di una certa intensità e profondità di sentimento nei riguardi di ciò che si pensa a proposito dell’universo”.
La mistica, da questo punto di vista, è un luogo di ricerca, di innovazione, di libertà. Lo dimostrano le storie delle otto mistiche laiche protagoniste dell’ultimo libro di Lucetta Scaraffia Dio non è così (Bompiani, 2025, Euro 18,00, pp. 192. Anche Ebook). Ma chi sono queste donne, diverse tra loro, ma unite dalla volontà di cercare il divino al di fuori della cornice religiosa tradizionale? Sono donne libere e coraggiose, che vogliono andare al di là dell’idea di Dio che viene loro proposta, vogliono capire, vogliono conoscerlo personalmente e fanno di questo loro anelito un percorso di emancipazione inscritto nel grande movimento di liberazione femminile novecentesco. Essere donne, essere in un certo senso sempre irregolari, dà a tutte una ampiezza di vedute che le porta a scelte innovative. Così innovative che risulteranno profetiche e fonte di emancipazione.
“Dio non è così, ne sono sicura, e quindi lo cerco per conto mio,” dice Catherine Pozzi, e come lei la pensano Adrienne von Speyr, Banine, Élisabeth Behr Sigel, Romana Guarnieri, fino a Simone Weil e Chiara Lubich. Sono cattoliche, protestanti, ortodosse, sono donne che vivono intensamente, che amano e che lavorano, non riconducibili all’icona della “folle di Dio”, eroina della fede pronta solo al sacrificio e all’umiliazione di sé stessa: donne che grazie alla loro apertura spirituale sperimentano nuovi rapporti e nuove gerarchie facendone degli ambiti profetici, dai quali le chiese e la società dovrebbero trarre ispirazione per il futuro. In questa ricerca nutrita di consapevolezza fondano movimenti, lavorano nelle fabbriche, amano senza riserve, esercitano una professione. Sembrano volerci dire che Dio è qui e ora, nelle piccole e grandi cose della vita, nel lavoro che facciamo e nelle relazioni che coltiviamo con pazienza e dedizione. Incontrarlo non è così difficile, non serve chissà quale paludamento religioso: basta attingere alla ricchezza della propria vita interiore alla ricerca di un senso del nostro esistere. Anche perché, come ha scritto il gesuita Michel de Certau: “Ogni essere umano è un mistico inespresso”.