Nella storia ci sono luoghi comuni duri a morire, nonostante studiosi abbiano prodotto saggi e studi ponderosi per smontarli. Uno di questi racconta come il fascismo sia sostanzialmente morto con la fine di Mussolini nel 1945. Dopo quella data i fascisti sarebbero diventati una residuale minoranza, incapace di incidere sulle vicende dell’Italia repubblicana.

Lo storico Mimmo Franzinelli, nel suo ultimo saggio intitolato con evidente ironia "Il fascismo è finito il 25 aprile 1945” (Laterza, 2022, pp. 176, anche e-book), smonta la fiaba felice in cui l’Italia pare aver tagliato definitivamente i legami con il Ventennio già alla fine del secondo conflitto mondiale. Lo fa raccontando come proprio nel Dopoguerra la dottrina della continuità dello Stato riportò ai vertici di prefetture e polizia personaggi di schietta fede fascista. E descrivendo la parabola politica di un partito fascista come il Movimento sociale italiano che, tra manganello e doppiopetto, ha avuto un ruolo negli scontri di piazza del secondo Dopoguerra e ha contribuito perfino all’elezione di presidenti della Repubblica (da Antonio Segni a Giovanni Leone).

Mimmo Franzinelli, come al solito attentissimo nell’uso delle fonti e della documentazione d’epoca, si sofferma anche sull’evoluzione delle frange neofasciste, sulle responsabilità nella cosiddetta strategia della tensione e sulle stragi degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Soprattutto ci mostra la continuità tra il fascismo mussoliniano - quello della marcia su Roma di cui il prossimo ottobre ricorre il centenario - e le riemersioni e soprassalti della destra radicale odierna.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Per questo chiediamo a Mimmo Franzinelli di raccontarci quali sono, a suo parere, le peculiarità del moderno neofascismo:

“Il neofascismo contemporaneo è un mix di nostalgia, di sguardo rivolto al passato, e di attenzione al presente, a quello che succede nel continente europeo, con il ritorno dei nazionalismi e della guerra, due fattori basilari dell’ideologia fascista. Inoltre, i neofascismi hanno fatto loro elementi di tipo populistico e demagogico. Cercano di intercettare e capitalizzare il dissenso e il disagio delle periferie delle grandi città, in primis Roma”.

Perché proprio Roma?

“Intanto perché il fascismo è da sempre legato al mito di Roma antica e imperiale, un mito amato da Mussolini. Poi Roma ha enormi periferie e borgate dove la sinistra è assente da anni. Trovano consenso, quindi, operazioni populiste e antistatuali come l’opposizione alle misure restrittive del governo durante l’emergenza Covid e l’occupazione di edifici pubblici da mettere a disposizione dei bisognosi”.

A cosa puntano i neofascisti contemporanei?

“Prima di tutti dobbiamo dire che si tratta di gruppi non molto numerosi e non organizzatissimi dal punto di vista militare. Guardano però all’esperienza del primo squadrismo fascista del 1919-22 e cercano l’occasione propizia per mettere a rischio la tenuta democratica del nostro Paese. In quest’ottica si pone un’azione di sfondamento come l’assalto alla sede della Cgil di Roma dello scorso ottobre. Si era in un momento in cui le spinte antigovernative per le misure anti-Covid erano molto forti e i neofascisti puntavano a colpire il sindacato, mostrandolo come connivente con le autorità e i poteri forti”.

I neofascisti italiani hanno collegamenti internazionali?

“Certamente. Operano moltissimo sul web e hanno collegamenti con gruppi di estrema destra dell’Europa orientale, in particolare Romania e Ungheria, nazioni dove già nel Novecento l’estremismo fascista è stato molto forte”.

C’è la giusta attenzione al pericolo neofascista?

“Personalmente non sono tra coloro che gridano ‘al lupo, al lupo!’ come se il fascismo fosse dietro l’angolo, pronto a riprendere il potere. Però una sottovalutazione del pericolo c’è. Solo quando vi sono eventi gravi c’è attenzione da parte delle forze dell’ordine e della magistratura…dopo di che si ritorna a far finta di nulla. Il problema è che questi gruppi della destra radicale non si fanno problemi a minacciare e intimidire. Nel mio libro racconto le minacce al gruppo editoriale L’Espresso per le inchieste giornalistiche su Forza Nuova e Casa Pound. E uno dei giornalisti che si occupano del fenomeno delle nuove destre, Paolo Berizzi, di Repubblica, vive sotto scorta. Il segnale dato dall’estremismo di destra è di tipo camorristico e mafioso: ‘Chi ci tocca rischia e rischia grosso’”.

© Riproduzione riservata