Ottobre 1944: il colonnello Martin von Bora, dell’Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, vive sul filo del rasoio oramai da anni. Continua a svolgere il suo dovere di ufficiale dell’esercito, ma è sempre più insofferente nei confronti dei comportamenti dei caporioni nazisti. Le SS e la Gestapo da tempo lo hanno segnato sul loro libro nero per aver denunciato i massacri tedeschi sul fronte orientale e perché sospettato di aver aiutato alcuni ebrei a sfuggire al campo di concentramento. Negli ultimi tempi la situazione per Bora si è fatta anche più drammatica: in luglio è fallita l’Operazione Valchiria, la congiura che è andata più vicina ad eliminare Hitler e il fallimento è stato seguito da una terrificante decimazione di ufficiali sospetti oppositori, alcuni legati da rapporti molto stretti con Bora stesso. E proprio quest’ultima circostanza sta per bruciare il nobile colonnello, contro il quale la Gestapo ha costruito un minaccioso dossier. Quando, senza alcun preavviso viene prelevato da agenti della polizia politica e trasportato a Salò, nella Repubblica Sociale Italiana, Bora è convinto che per lui sia giunta oramai la fine. Viceversa, si ritrova in uno sorta di limbo, lontano dal reparto con cui stava combattendo da mesi in Italia e con la mansione di ufficiale di collegamento tra comando militare tedesco e il corrispettivo della Repubblica sociale. Un impegno che al valoroso soldato, dopo sette anni di guerra, sembra stagnante ma che in realtà si trasforma in una nuova indagine e in un’avventura molto rischiosa. Indagine e avventura che sono al centro del romanzo “La Venere di Salò” (Sellerio editore, 2022,pp. 464, anche e-book), il dodicesimo che la scrittrice Ben Pastor dedica alla figura di Martin Bora e alla sua tormentata vicenda di uomo e ufficiale perennemente impegnato sui campi di battaglia d’Europa, dalla guerra di Spagna all’Italia, passando per Stalingrado e la Grecia.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Nella Venere di Salò lo ritroviamo nei panni a lui consoni di detective, invischiato nella ricerca della tela di Tiziano che dà il titolo al volume, sottratta nell’abitazione del milionario Pozzi, un affarista piuttosto rozzo arricchitosi tra l’altro con i traffici di guerra. Per ritrovare il dipinto Bora deve inoltrarsi in una foresta di opposti interessi, di lotte interne al regime e tra fascisti e nazisti, di misteri, a cui fanno da macabro corollario gli strani suicidi di tre donne, tutte tra loro legate da fili sottilissimi che il nostro protagonista si trova a seguire, mentre il cappio della Gestapo si fa sempre più stretto attorno al suo collo.

Ben Pastor descrive con la sua abituale maestria la corsa contro il tempo di Bora per portare a termine il suo incarico e fare fino in fondo il proprio dovere prima di essere sopraffatto da un destino che gli appare oramai ineluttabile. Anzi liberatorio nella disperazione che lo attanaglia mentre il suo Paese è sull’orlo di una disastrosa sconfitta.

L’avversione per Hitler e i suoi accoliti oramai ha preso il sopravvento ad ogni altro sentimento nell’ufficiale tedesco, ma non è venuta meno la fedeltà alla divisa e alla propria nazione. Bora continua vivere il profondo dissidio che tormentò più di un tedesco della sua generazione, quello tra dovere nei confronti della propria patria e ribellione nei confronti di ciò che quella patria era diventata sotto il nazismo. Di fronte a questo dissidio il personaggio creato da Ben Pastor sfugge a soluzioni semplicistiche e rifugge da conversioni miracolistiche. Accetta il proprio destino e il proprio tormento, affidandosi sempre di più alla propria coscienza di uomo e di soldato.

Come Bora afferma nel libro si può anche perdere una guerra, ma c’è sempre una differenza nel modo in cui la si perde e si affronta la sconfitta. Così come per Bora c’è sempre stata una differenza incolmabile tra i modi di combattere suoi e dei fedeli esecutori di Hitler.

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