Dal punto di vista dei consumi, il 2020 è stato l'anno del boom dell'e-commerce e della rivincita dei negozi di vicinato, del crollo delle vendite dei prodotti di lusso e della crescita vertiginosa di disinfettanti e mascherine. Poi siamo ricorsi al delivery, cioè alla consegna a domicilio, quasi per tutto: cibo, gelato, vino e persino cannabis, quella legale, naturalmente. Insomma, se non tutto, sul fronte della spesa molto è cambiato in poco tempo a causa del lockdown, ma anche di come gli italiani hanno reagito all’esperienza dell’emergenza Covid. Insomma, assistiamo a una nuova, strana normalità anche sul fronte dei consumi, una normalità che è il primo segnale di una rivoluzione probabilmente solo all'inizio, come racconta l'agile saggio Io compro a casa (GueriniNext, 2020, pp. 160, anche e-book).

All'autrice del libro, Anna Zinola, docente di psicologia del marketing a Pavia, chiediamo prima di tutto qual è il reale impatto avuto dal Covid-19 sui consumi: "L'epidemia di Covid-19 ha profondamente modificato, oltre al modo di lavorare, di relazionarci, di spostarci, ciò che comperiamo. Se consideriamo la spesa di tutti i giorni, possiamo identificare varie fasi. All'inizio, tra metà febbraio e inizio marzo, vi è stata una reazione di pancia: di fronte alla diffusione del virus, i consumatori hanno svuotato gli scaffali dei punti vendita e riempito il carrello. Una sorta di shopping compulsivo, poco organizzato, un po’ da 'bunker' (con scorte di caffè, pasta, passata di pomodoro, patate e affini)".

E poi, con il lockdown, cosa è successo?

"Dalla seconda settimana di marzo vi è stata una svolta. Il prolungamento della quarantena ha spinto a ripensare gli acquisti e a mettere in atto nuove strategie. Si è profilata una spesa più attenta in termini di prodotti, così da selezionare referenze effettivamente utili, e più sostanziosa in termini di quantità, così da evitare di tornare varie volte in negozio".

Ma poi siamo tornati alla normalità oppure no?

"Vi è stato un progressivo ritorno alla normalità. Dalla metà di maggio sono diminuiti i consumi di farina, uova e tinture per i capelli, che avevano caratterizzato il periodo 'autarchico' del lockdown. In parallelo sono aumentati gli acquisti di prodotti che 'parlano' il linguaggio della socialità e dell'autogratificazione come il make up".

Da più parti si è segnalato, in corrispondenza con il lockdown, un aumento dei prezzi. È un fenomeno che trova riscontro nei dati?

"Purtroppo, è così: i prezzi sono aumentati. E questo nonostante una battuta d'arresto dell'inflazione. Non parliamo solo dell'incremento del prezzo del caffè al bar o del taglio dal parrucchiere (che, con la "giustificazione" dei costi di sanificazione, hanno talora gonfiato i listini) ma anche del prezzo dei prodotti di uso quotidiano (frutta, latte, pasta, salumi). L’innalzamento dello scontrino è derivato anche dal taglio del numero e dell’entità delle attività promozionali. In pratica, le promozioni sono state ridotte a meno di un quarto dei prodotti venduti sugli scaffali. Ovviamente si è tradotto in uno svantaggio per il consumatore. Consumatore che – in fase di lockdown – stava già sta facendo acquisti in un regime forzato di minore concorrenza, chiamato a scegliere il negozio più vicino a casa e ad accontentarsi di quello che trovava sugli scaffali quando arriva il suo turno di accedere al supermercato".

Quali categorie hanno patito maggiormente gli effetti della pandemia?

"Sicuramente la moda ha sofferto. I motivi sono molteplici: dapprima la chiusura dei negozi, quindi – una volta terminato il lockdown – le restrizioni negli accessi agli store e i timori legati alla sanificazione dei capi. Senza dimenticare la riduzione del potere di acquisto connessa alla crisi economica, che spinge a rinunciare ai beni percepiti come voluttuari".

E i consumi extradomestici, come bar, ristoranti, pizzerie?

"Il fuori casa è stato uno dei grandi sconfitti della pandemia. Nell’arco di qualche settimana i fatturati di bar, pizzerie, ristoranti e pub sono stati azzerati. E la fine della quarantena non ha segnato una decisa inversione di rotta. Come prevedibile i clienti non sono, cioè, tornati in massa ad affollare i tavoli dei locali, che, rispetto all’estate dello scorso anno, registrano un calo medio del fatturato tra il 30% e il 50%. Insomma, se la pandemia ha ridotto praticamente a zero il giro d’affari del fuori casa, il post pandemia ha segnato un momento di forte discontinuità e imposto un cambio di paradigma. Va detto, d'altra parte, che il delivery ha rappresentato per molti operatori della ristorazione un’ancora di salvezza durante e dopo il lockdown. Non è un caso che, proprio nei mesi di marzo e aprile, si sia registrato un incremento della richiesta di attivazione del servizio da parte dei ristoranti."

Chi ha tratto vantaggio dalla pandemia?

"Il vero trionfatore è l'e-commerce. Per anni si è da più parti lamentata l’arretratezza degli italiani in termini di consumi digitali e la loro scarsa propensione all’e-commerce. Ed ecco che, nell'arco di qualche mese, anche i soggetti più resistenti all’online si sono trasformati in e-consumer. Secondo Netcomm (Consorzio Netcomm è il Digital Hub italiano per l’evoluzione delle imprese verso i Consumatori digitali nel mondo​), dall’inizio del lockdown i clienti di shop digitali in Italia sono triplicati. Nei primi sei mesi dell’anno gli e-shopper sono stati oltre 2 milioni, contro i 700mila relativi allo stesso periodo del 2019".

Che cosa hanno comperato online gli italiani?

"Di tutto: dai prodotti per gli animali domestici (che nella prima metà dell’anno hanno segnato +154%) al food, dai cosmetici ai detergenti per la casa. Sono, invece, crollati i servizi che in passato erano centrali nel mondo e-commerce. Emblematico il caso del turismo che canalizzava il 25,6% del fatturato totale del commercio online prima della pandemia e che, nel 2020, ha subito, inevitabilmente, un forte rallentamento".
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