“Il silenzio del mondo”, la diversità dell’essere sordi nel nuovo romanzo di Tommaso Avati
Un racconto con la delicatezza e la consapevolezza di chi ha sperimentato la sordità sulla propria pelle e conosce fino in fondo cosa voglia dire crescere e vivere in un mondo “ovattato”
Una famiglia e la sua storia dall’epoca del fascismo fino ai giorni nostri. Al centro di tutto tre donne: Rosa, Laura e Francesca i loro nomi. Sono nonna, madre e figlia e ad accomunarle vi è il fatto che sono tutte non udenti. Rosa, però, è una donna del tempo antico e contadino. La sua lingua è quella delle cose che tocca, una lingua vigorosa e sanguigna. Arcaica. Una lingua che la metterà in difficoltà di fronte a un mondo sempre più civilizzato, che Rosa farà fatica a comprendere. La figlia Laura cresce, invece, in città, conosce e padroneggia il linguaggio della gente che la circonda. Pur governandola, però quella lingua non le appartiene fino in fondo e Laura dovrà rendersene conto, dolorosamente. Infine, c’è Francesca, donna di oggi che parla la lingua di tutti. Usa codici sofisticati, alternativi. Basterà questa lingua a tenere lontana l’ansia del mondo che progressivamente l’assale?
Libro in cui i gesti sostituiscono le parole e ascoltare è una facoltà che va reinventata giorno dopo giorno “Il silenzio del mondo” (Neri Pozza, 2022, pp. 240, anche e-book) ci racconta la diversità dell’essere sordi e la conseguente, dolorosa complessità del comunicare. Un racconto che l’autore, Tommaso Avati, realizza con la delicatezza e la consapevolezza di chi ha sperimentato la sordità sulla propria pelle e conosce fino in fondo cosa voglia dire crescere e vivere in un mondo ovattato, mai davvero raggiungibile neppure per chi ti è più vicino e caro.
A Tommaso Avati chiediamo cos’è il “silenzio del mondo” che dà il titolo al libro:
“Il silenzio del mondo è uno stato d'animo. Per me il silenzio del mondo non esiste più, era legato alla mia infanzia e alla prima adolescenza, ad un’epoca remota in cui l'assenza di suoni era normale, non era stigmatizzata, non rappresentava né un problema né uno scandalo, corrispondeva semplicemente al mio mondo un po’ speciale. Il silenzio del mondo è lo stato emotivo cui le tre protagoniste del romanzo cercando di ricondursi quando si accorgono che, nonostante tutto, il frastuono quotidiano rischia di raggiungerle e di travolgerle”.
Perché la scelta di un romanzo al femminile?
“Il tema della diversità e della sordità nello specifico, mi sembrava che si adattasse meglio ad una figura femminile. È come se le donne avessero una affinità particolare nei confronti dell'ascolto, come se privare una donna, e spesso mamma, della capacità di udire fosse in qualche modo più grave che privarne un uomo. Mi sembrava insomma che raccontare il mio problema, quello della sordità, arricchendolo della sensibilità femminile fosse il modo migliore per rendergli giustizia, per affrontarlo appieno. Se avessi immaginato un protagonista maschile avrei finito col riconoscermi in lui, con l'identificarmi troppo e non volevo. Volevo invece essere libero di raccontare una storia che mi somigliasse più di qualunque altra, senza però il condizionamento che si subisce inevitabilmente quando si sta scrivendo un racconto strettamente autobiografico”.
In cosa sono diverse le tre protagoniste del libro e in cosa sono invece simili?
“Sono diverse perché vengono da epoche diverse. Ma lo sono soprattutto nel modo di affrontare la diversità stessa. Soprattutto Francesca, la più giovane, è quella che vorrebbe inaugurare un nuovo rapporto con il mondo degli udenti, con le persone così dette normali. Vorrebbe provare a interrompere le ostilità che sua madre e sua nonna hanno ostinatamente portato avanti da sempre. Vorrebbe provare a dimenticare il dolore, la sofferenza, l'emarginazione da cui le donne della sua famiglia sono state colpite...”.
Cosa significa per lei essere sordi?
“Essere sordi significa avere dimestichezza col silenzio, significa essere abituati a vivere in quel mondo. Conoscere l'assenza totale di suoni significa praticare una possibilità esistenziale privilegiata, che per me è terminata brutalmente e traumaticamente, quando ho dovuto mettermi la protesi. Essere sordi significa anche essere inevitabilmente minorati, privi quindi di uno dei sensi fondamentali. Non udire chi ti parla mina alla base le radici dello stare insieme, della comunicazione. Un bambino sordo e non trattato, non curato, non riconosciuto, rischia di portare su di sé cicatrici indelebili. Essere sordo insomma è sia un dono, sia un danno”.