“Il riarmo è una pazzia. La conferma della distanza e dello scollamento tra elite e cittadini. I gruppi dirigenti sostengono la linea bellicista, la gente ha un grande desiderio di pace, una parola che sembra sempre più una bestemmia nel fragore delle armi”.

Marco Revelli, storico e sociologo, allievo di Norberto Bobbio, riflette sulla guerra in Ucraina che produce inquietudine e incertezza. È un colpo durissimo a equilibri già fragili, a trent’anni da un altro momento di grande dolore: l’avvio dell’assedio di Sarajevo, altro passaggio cruciale della storia del Vecchio Continente.  Tante incognite pesano sul presente e sul futuro. “È un mondo furioso che fa passi indietro. Questo conflitto si poteva evitare, ma poco è stato fatto per scongiurarlo. Non ho dubbi: Putin si è macchiato di un crimine. Distinguo tra aggressore e aggredito Sono dalla parte degli aggrediti, di chi è stato invaso subendo un gravissimo sopruso. Ma questa guerra, che cancella ogni senso di umanità, va fermata. Occorre bloccare la spirale bellicista”.

Suo padre Nuto, scrittore, alpino e partigiano, che cosa le ha insegnato?

“Mi ha insegnato il rispetto per coloro che vengono usati e sacrificati dal potere come i suoi alpini che andarono in Russia. Ha capito quanto quei contadini costretti a fare i soldati odiassero il conflitto, quanto si sentissero simili agli altri contadini contro cui erano costretti a combattere e quanto il fascismo fosse stato criminale e cialtrone nella sua politica dissennata e nelle sue guerre di aggressione. Mi ha insegnato l’odio per la guerra e per i fascismi. Intravedo tante similitudini e affinità con Emilio Lussu, un grande sardo. Anche se di generazioni diverse hanno vissuto le loro rispettive  guerre da giovani ufficiali. Poi hanno condiviso i valori della Resistenza”.

È appena finito lo stato di emergenza per il Covid.

“Ci resta dentro una sorta di intossicazione. Abbiamo alzato tanti muri per proteggerci dal contagio, scorie che restano. Dovremo fare un lavoro di risanamento mentale che implica un cambiamento di orizzonte e di modo di pensare. Si spera sempre di tornare alla normalità. Ma quale normalità? Era normale la vita che facevamo prima? Sarà normale la vita che faremo dopo?”.

Intanto sono disponibili i fondi del Pnrr, considerati salvifici.

“L’aumento dei costi energetici si è già mangiato una fetta di quella torta. Un’altra parte è stata destinata a settori che non generano lavoro. Pensiamo alle grandi opere che hanno rappresentato spesso cementificazione. Pensiamo alla beffa del ministro Cingolani, che dovrebbe favorire la transizione ecologica e invece parla di nucleare, e all’operazione “greenwashing”. Si usano le retoriche verdi per coprire logiche di investimenti distruttivi nelle mani dei soliti noti che Ernesto Rossi definiva i padroni del vapore”.

Segnali di speranza?

“Arrivano dagli studenti che chiedono pace e protestano contro l’aberrazione dell’alternanza scuola-lavoro. Antonio Gramsci, nei suoi ‘Quaderni del carcere’, ha dedicato molto spazio al tema della scuola e alla ricerca del principio educativo. Ha spiegato che l’attività scolastica dei ragazzi deve essere disinteressata, cioè non finalizzata all’utilità, ma alla formazione consapevole della loro personalità. Questi pensieri mi sono tornati  in mente vedendo gli slanci ammirevoli dei giovani che si muovono con una  lucidità che gli adulti non possiedono più. Soprattutto gli adulti che comandano”.

Ha richiamato le affinità tra suo padre e Emilio Lussu.

“Lussu fa parte del nostro patrimonio politico e civile, della memoria di un’Italia pulita e coraggiosa”.

Armungia, il paese di Lussu, e la sua Paraloup, il borgo di montagna piemontese salvato dalla Fondazione “Nuto Revelli”. Due destini simili.

“Paraloup è come Armungia, sono simboli di tanti piccoli borghi che rischiano di scomparire. Abbiamo ridato vita a Paraloup, dove è nata la formazione partigiana “Giustizia e libertà” di Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco. Il borgo era completamente abbandonato e spopolato. Con questo progetto cerchiamo di riportare la speranza della rinascita nelle aree interne dove c’è una storia profonda e un’accumulazione di esperienze e tradizioni riconducibili alla civiltà contadina e montanara che ha tanti valori da trasmetterci. Una grande sfida del nostro tempo, politica, culturale, sociale ed economica”.

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