Se si parla di Medio Oriente immediatamente pensiamo alla tragedia israelo-palestinese oppure alla guerra in Siria. Nell’area mediorientale però vi sono altri fenomeni che è giusto considerare. Il principale è la rapida evoluzione in atto in Arabia Saudita, che allarga su scala più vasta gli esperimenti già avviati a Dubai o nel Qatar. Quell’area compresa tra il Golfo Persico e il Mar Rosso è, infatti, un gigantesco cantiere di sviluppo, attira un boom di investimenti e di imprese straniere, anche italiane. E accoglie nuovi flussi di imprenditori, turisti, studenti e ricercatori. Ma cosa c’è dietro?

Ce lo racconta Federico Rampini nel suo ultimo saggio intitolato “Il nuovo impero arabo” (Solferino, 2024, Euro 18, pp. 272. Anche Ebook), partendo da un fattore sorprendente per noi occidentali: una delle chiavi dello slancio attuale dell’Arabia Saudita è la laicizzazione in corso, che riduce i poteri del clero islamico, liberalizza i costumi e migliora i diritti delle donne. Questo non significa che l’Arabia sia diventata il paradiso della democrazia. Resta un regime autoritario (su cui la guardia deve restare alta) ma vuole rilanciare il proprio ruolo mondiale, memore di quella che fu l’epoca d’oro della sua civiltà. E sembra uscire dal vittimismo antisraeliano spezzando la catena dell’odio nei confronti dell’Occidente (e il suo finanziamento) che ha portato alla diffusione della Jihad e della violenza fanatica. Insomma, come scrive Rampini nel libro: «Bisogna trattenersi, prima di abbracciare visioni del mondo manichee, crociate che oppongono le forze del Bene e del Male. L’Arabia merita di essere studiata più che esorcizzata».

Perché questo grande Paese merita la nostra massima e imparziale attenzione?

«In Italia quando si parla di Arabia mi sento rispondere: è il Paese del petrolio e degli abusi contro i diritti umani come l’assassinio di Khashoggi. Con questi due stereotipi il discorso è chiuso. Errore. Sul petrolio i sauditi hanno una visione più realistica dei nostri ambientalisti: vogliono de-carbonizzare ma sanno che ancora per molto tempo avremo bisogno di energie fossili. Fra le altre ragioni, non c’è altro modo per produrre fertilizzanti, senza i quali la produzione agricola crollerebbe e mezza umanità morirebbe di fame. Comunque, l’Arabia è un grande investitore in energia solare, eolica, idrogeno. In quanto ai diritti umani, resta un regime autoritario e dispotico ma ha migliorato in modo decisivo i diritti di metà della sua popolazione: le donne».

Quali sono i maggiori cambiamenti negli ultimi anni?

«Descrivo cambiamenti spettacolari mettendo a confronto due miei viaggi: nel 2017 al seguito di Donald Trump, poi quest’anno. In sette anni il Paese è irriconoscibile. Le donne non devono più girare velate, possono viaggiare da sole, stanno molto meglio delle iraniane. Il clero conta meno, la polizia religiosa è sparita. La modernizzazione economica procede a grandi passi, inclusa la diversificazione per ridurre l’importanza del petrolio. Il turismo una volta si limitava ai pellegrini musulmani, oggi tutti sono invitati a visitare il paese. È caduto anche il tabù sulle sue civiltà pre-islamiche come i Nabatei di AlUla».

L'Arabia può favorire la stabilità nel Medio Oriente?

«È la sua ambizione. Ha sostenuto gli accordi di Abramo con cui altri Paesi dell’area hanno riconosciuto Israele. Anche l’Arabia vorrebbe farlo. È per far saltare questo processo di distensione che l’Iran e Hamas hanno voluto la strage del 7 ottobre 2023. Se c’è qualche speranza per un cessate-il-fuoco a Gaza, una ricostruzione della Striscia, una pace fondata su due Stati, è evidente che il ruolo di Riad sarà centrale in tutto questo».

L'Arabia può essere un partner stabile per l'Occidente?

«Nei lunghi viaggi che racconto nel mio libro, dal mondo arabo mi è stata spesso rivolta la domanda speculare e rovesciata: può, vuole l’Occidente essere un partner stabile per il mondo arabo? Loro considerano l’Europa irrilevante sul piano geopolitico, strategico e militare, anche se le imprese europee e italiane sono molto presenti in Arabia. Considerano l’America ondivaga e imprevedibile. Irridono al nostro ambientalismo apocalittico e adolescenziale; detestano il nostro moralismo. Per queste ed altre ragioni preferiscono tenere i piedi in due o tre staffe, curano i buoni rapporti con Cina e Russia».

Quanto è grande il rischio di un confronto militare tra Arabia e Iran?

«Racconto anche un altro grande viaggio che ho fatto in Iran oltre ad altre visite nel Golfo, in Qatar ed Emirati. Faccio continuamente il confronto tra Arabia e Iran, i due rivali storici. Il titolo del mio libro allude naturalmente alla storia antica, al fatto che ci sono tre imperi locali impegnati da sempre a contendersi l’egemonia sul Medio Oriente: l’arabo, il persiano-iraniano, il turco-ottomano. L’Iran da quando nel 1979 è diventato una teocrazia sciita con Khomeini, si è dato tre obbiettivi espliciti ed ufficiali: distruggere lo Stato d’Israele; cacciare l’America dal Medio Oriente; infine conquistare i due luoghi sacri dell’Islam, Mecca e Medina. C’è quindi un obiettivo molto esplicito che riguarda l’Arabia saudita da parte di Teheran, e ne racconto tutte le possibili implicazioni».

La copertina
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