A Zagabria da qualche anno esiste un luogo molto particolare. Si chiama Museo delle relazioni interrotte e raccoglie oggetti che testimoniano la fine di un amore. Ogni oggetto racchiude in sé una storia che i visitatori praticamente non conoscono perché solo brevi messaggi anonimi accompagnano le testimonianze di ciò che è finito per sempre. Il resto è lasciato all’immaginazione, alla fantasia, alla voglia di immaginare che è in ognuno di noi. Ogni oggetto, invece di essere distrutto per dimenticare, oppure gelosamente conservato per non liberarsi mai dal dolore, prende, così, vita. Diventa protagonista dell’immaginario di chi lo osserva oppure trova un narratore disposto a mettersi a disposizione.

Valentina Giuliani ha voluto essere questo narratore e così è nato "Il museo degli amori perduti” (Armando Dadò editore, 2021, pp. 112), smilzo libro di racconti incentrato non sulle pene del cuore – o almeno non solo – come suggerirebbe il titolo, ma su come alla fine l’amore sappia sempre rinnovarsi e rinnovarci.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

A Valentina Giuliani chiediamo come prima cosa come è arrivata a “costruire” questo suo museo degli amori perduti:

“Tutto è cominciato in pieno lockdown, quando non ci si poteva muovere neppure da casa. Nella mia libreria ho ritrovato il catalogo del Museo delle relazioni interrotte di Zagabria e ho cominciato a sfogliarlo. Mi ha rapita. Ho visto questi oggetti accompagnati da brevi didascalie spesso esilaranti. C’era un barattolo con sopra scritto ‘incenso dell’amore’ e la didascalia recitava: ‘Non funziona’. Oppure la confezione di un detergente per uomo e la scritta diceva: ‘Mia madre ha cominciato a usarlo per pulire i vetri dopo che ci siamo lasciati. Dice che è fantastico!’. Mi sono resa conto che anche se era dedicato alle relazioni interrotte quel museo era tutt’altro che un luogo triste. E l’ho trovato la cornice ideale per scrivere storie d’amore finite, sospese”.

Storie autobiografiche?

“Spunti autobiografici ci sono anche perché chi di noi non ha perduto un amore…anzi più d’uno! Però ho voluto uscire dal solo dato autobiografico per raccontare storie in cui ognuno di noi si può riconoscere. Ogni racconto così apre con un oggetto, che ci viene presentato dalle illustrazioni di Barbara Fässler, e questo diventa per me lo spunto per un breve racconto che spero coinvolga più persone possibile”.

Ma in un museo di amori finiti non corriamo il rischio di rattristarci troppo?

“Ma assolutamente no! Il fatto che questi oggetti siano esposti, diventino protagonisti di storie che ho cercato di rendere leggere, frizzanti è il segnale che anche il ricordo che ci appare più pesante alla fine è solo…un ricordo, qualcosa del passato che possiamo lasciarci alle spalle. Ci sono nuove avventure che ci aspettano, una volta lasciato il nostro oggetto nel museo. Lo si lascia lì e la vita continua, tanto che la dedica del libro è ‘all’amore ritrovato’. A mio parere gli ideatori del museo di Zagabria hanno avuto proprio un’idea brillante, tanto che luoghi simili, dove raccogliere vestigia degli amori interrotti, sono nati anche altrove. Anche in Sardegna esiste un Museo dell’amore perduto, ad Aggius, vicino a Sassari”.

Un poster, una culla, delle tazzine…sono questi gli oggetti da cui prendono il via i suoi racconti. C’è uno di questi oggetti a cui si sente maggiormente legata?

“Uno dei racconti si intitola ‘Lettera d’amore’ e presenta una lettera-confessione di un marito alla moglie…mi sono molto divertita a scriverla immedesimandomi in un uomo, anzi in una specie di Don Giovanni impenitente e gaudente”

Perché la scelta del racconto, un genere che non ha mai avuto molta fortuna in Italia?

“Perché volevo una scrittura liberatoria, quasi di getto, di impatto. Come ha scritto Julio Cortázar, uno dei maggiori autori di racconti del Novecento: ‘Con un romanzo si può vincere ai punti. Con un racconto si vince solo per KO’”.

Oggetto dopo oggetto, racconto dopo racconto, possiamo dire che gli amori si perdono, ma l’Amore non finisce mai?

“Una buona sintesi. Le storie possono finire, ma la nostra voglia e capacità di amare non si esaurisce. In fondo, credo che gli affetti non si sottraggano, ma si sommino. Quello che abbiamo e che siamo oggi non è altro che il frutto delle storie, anche fallimentari, vissute in passato”.

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