Il traffico di uomini, donne e bambini è oggi una delle attività più redditizie per le organizzazioni criminali di tutto il mondo, con guadagni superiori persino a quelli derivanti dal commercio di droga e armi.

La ragione è semplice ed è legata a una contraddizione tipica della nostra epoca: mentre con la globalizzazione merci e capitali possono circolare molto facilmente nel mondo, per le persone è diventato sempre più difficile migrare legalmente perché tutti gli Stati più sviluppati hanno alzato barriere giuridiche e spesso anche fisiche per limitare i flussi in entrata. I migranti, tuttavia, cercano di attraversare illegalmente le frontiere.

Le reti criminali organizzano i trasporti dei clandestini via terra o via mare, ad esempio in nascondigli ricavati all’interno di autotreni o in barconi malandati. La tratta dei migranti è tanto più redditizia quanto maggiore è la difficoltà di superare le frontiere.

Con il crescere dei controlli crescono infatti anche i prezzi: qualche anno fa, ad esempio, attraversare il Mediterraneo poteva costare 500 euro, mentre oggi il prezzo può salire addirittura fino a 3000 e anche 5000 euro.

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Sulla pelle dei migranti, però, non “giocano” solo le organizzazioni criminali, ma anche organismi internazionali e governi come ci racconta Valerio Nicolosi, giornalista che si occupa da anni di tematiche sociali e rotte migratorie, nel suo "Il gioco sporco” (Rizzoli, 2023, pp. 288, anche e-book).

Nel libro, frutto di anni di esperienze sul campo, a stretto contatto con i migranti più sfortunati, Nicolosi porta a galla una verità conosciuta, ma troppo spesso rimossa: i flussi migratori vengono oramai gestiti come un’arma non convenzionale. Sono uno strumento di pressione nei giochi grandi e piccoli della geopolitica contemporanea.

Per farci capire come funzionano le cose l’autore ricorre a un esempio lampante di questi ultimi mesi, una vicenda che ha vissuto in prima persona dato che è stato tra i primi giornalisti ad arrivare in Ucraina per descriverne la tragedia, atterrando a Kiev un giorno prima dell’attacco russo che ha aperto la guerra. Da lì Nicolosi ha raccontato l’esodo di donne e bambini verso la Polonia e l’Europa. Una rotta migratoria organizzata dalle autorità polacche e dell’Unione europea e sostenuta con generosità da cittadini e associazioni, ma che nasconde un’ambiguità di fondo. Accogliere i profughi è un modo per fare politica, per mostrare al mondo il sostegno alla causa ucraina. È, inoltre, un modo per conquistare “meriti”, all’interno del fronte occidentale. Questa accoglienza non è disinteressata, come racconta Nicolosi, ma contiene la stessa minaccia implicita delle rotte nei Balcani e nel Mediterraneo. È il “gioco sporco” che l’autore ha visto fin troppe volte, in troppe parti del mondo, messo in piedi da alcuni governi sulla vita di migranti in fuga da conflitti armati, persecuzioni, carestia e povertà.

Dalle coste dell’isola di Lesbo a Trieste, da Mariupol a Cracovia, dalla Turchia alla Libia, dai Balcani alla Sicilia, le vite di persone disperate – pronte a rischiare tutto pur di avere anche solo l’occasione di un futuro decente – vengono usate ogni giorno come mezzo di pressione geopolitica o di vero e proprio attacco non convenzionale. Come scrive Nicolosi: «La rotta balcanica, per esempio, si apre e si chiude a intermittenza, in base a quanti soldi l’Unione Europea stanzia alla Turchia per esternalizzare la propria frontiera e alle necessità del momento di Erdogan. Poi ci sono gli accordi con la Bosnia per costruire campi profughi con standard europei: container in mezzo a un altopiano dove d’inverno si gela e dove il centro abitato più vicino è a più di due ore a piedi. Campi di persone che sono state già respinte almeno cinque o sei volte – spesso anche venti o trenta – dalla polizia croata, che usa violenza fisica e psicologica sui profughi, per poi lasciarli nudi in mezzo ai boschi, costretti ad attraversare un fiume in pieno inverno».

Lungo queste rotte migratorie alcuni passano, altri muoiono, in tanti attendono l’occasione propizia, quasi nessuno fa retromarcia. Sono gli effetti collaterali di un gioco sporco nel quale i governi sono impegnati da anni come racconta sempre Nicolosi: «I migranti hanno perso la componente umana, perché è chiaro che il tema sia molto politico e riguardi le scelte dei singoli Paesi dell’Unione Europea e dei Paesi di transito. Ma è altrettanto chiaro che, mentre noi discutiamo di leggi, regole da rispettare, porti chiusi, muri e invasione, decine di migliaia di persone stanno vivendo un incubo lungo le barriere che abbiamo costruito attorno alla nostra fortezza, la Fortezza Europa».

Quello evocato da Nicolosi è uno scenario che deve almeno farci riflettere, deve interrogarci. Soprattutto ci deve far sorgere una domanda: se i migranti non fossero uno specchietto per le allodole di quella politica che non vuole parlare di economia, crisi energetica o ambientale, tratteremmo comunque questo tema come una costante emergenza? Oppure troveremmo finalmente una soluzione decente?

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