Se avete sempre pensato che il cinema sia nato in Francia alla fine dell’Ottocento per mano dei fratelli Lumière allora è venuto il momento di ricredervi. Mario Mucciarelli, autore cinematografico, ma soprattutto innamorato cotto della Settima arte da tempo immemorabile ci offre la prova provata che tutto ho avuto inizio a Bologna, patria non certo a caso di una delle più importanti cineteche italiane.

Lo fa con il suo ultimo libro, Lumière Lumière (Sagoma Editore, 2024, pp. 200), un concentrato di storie cariche di umorismo e devozione per il cinema del tempo che fu. Storie che hanno ambientazione una sala cinematografica bolognese che proiettava solo vecchi film e in cui le sedie erano scomodissime. Il proiettore faceva rumori sinistri. E in sala era tutto un andirivieni di suore, mimi, venditori di popcorn, ubriaconi, cinefili e ancora ubriaconi. Era il vecchio cinema Lumière, il luogo da cui è poi “germogliata” la Cineteca di Bologna.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

A Mario Mucciarelli abbiamo chiesto come è nata l'idea di un libro tanto particolare?

«Negli anni ho scritto diversi racconti umoristici, che però sono rimasti nel cassetto. Volevo farci qualcosa, prima che diventassero dei reperti fossili: l’umorismo invecchia in fretta. Li ho fatto leggere alla mia compagna, e lei si è divertita soprattutto con due racconti che erano ambientati al Lumière, il cinema d’essai legato alla Cineteca di Bologna, che frequentavo da ragazzo, negli anni Ottanta del Novecento. Il vecchio Lumière, perché intanto il cinema ha cambiato sede. Insomma, quei due erano invecchiati bene. Mi sono chiesto se non potessero essere il nucleo di una raccolta di racconti su quegli anni, su Bologna, sul mondo dei cinefili. Mi sono risposto di sì, ho scritto i racconti, poi ha risposto di sì anche Carlo Amatetti di Sagoma Editore. Poi abbiamo contattato la Cineteca di Bologna, e abbiamo atteso in ansia un riscontro. O meglio, io ero in ansia. Amatetti era tranquillo».

Quanto c'è di vero, di autobiografico e invece di inventato nei racconti?

«È tutto vero, tranne quello che mi sono inventato! No, sono tutti racconti di fantasia. Ad esempio, il direttore del cinema di questi racconti non è ricalcato né sul direttore di allora, né su quello di oggi. Le rassegne estive non sono nate nel modo che ho raccontato io. E, nonostante quanto ho scritto nel libro, sono quasi certo che non ci siano mai stati mimi erotomani in giro per il Lumière (chi sa parli). Ci sono però degli elementi più che veri: le traduzioni simultanee dei film in lingua originale erano davvero un’esperienza bizzarra. Ma era anche l’unico modo per spararsi un film svedese e avere una vaga idea di cosa trattasse, voglio dire, oltre che della morte».

Qual' è il tuo legame con la Cineteca di Bologna?

«Affettivo, di devota riconoscenza, ma io sono andato via da Bologna nel 2001, per tornarci solo qualche anno fa, Non conoscevo nessuno in Cineteca. Infatti, ero terrorizzato dall’idea che il direttore Gian Luca Farinelli trovasse il libro fuori luogo. Invece ha apprezzato l’operazione».

Cosa rappresenta il cinema per te?

«Ci ho lavorato e ci lavoro, nel mondo del cinema, ma il cinema per me sono soprattutto i vecchi film che mi sparavo a casa o in Cineteca. Il vecchio Lumière era forse l’unico posto in cui mi sentivo a mio agio. Detesto entrare nei negozi di vestiti, ad esempio, invece al cinema ci entro sempre senza problemi. Non so, forse perché al cinema non mi devo togliere i pantaloni una volta tirata la tenda. Cioè, non è obbligatorio».

Ma il cinema è ancora le Settima arte oppure è oramai un media invecchiato?

«È invecchiato, sì! Però non c’è niente di male a invecchiare. Ma più che un vecchio decrepito, il cinema mi sembra un quarantenne in crisi di mezza età, sai, come quelli che si comprano la moto, si drogano a caso, ci provano con le bariste. Visto che le arti non muoiono quasi mai, ma il più delle volte restano solo convalescenti all’infinito, direi che potrebbe essere una fase lunghina. Ma va bene così. Finché ci sono le sale d’essai».

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