Dal 21 dicembre del 1993 al luglio del 1997 la discoteca dell'Asinara raggiunse il periodo di maggiore notorietà.

Situata nella collina sopra Cala d'Oliva, era un quadrato con un lato di poche decine di metri, con alti muri grigi di contorno, sempre illuminati, 24 ore su 24. Dentro c'era una piccola camera, anch'essa sempre illuminata a giorno. All'interno della discoteca, però, non si ballava: 30 agenti si davano il turno per sorvegliare il detenuto più pericoloso d'Italia, Totò Riina, il Capo dei capi di Cosa Nostra.

Il boss corleonese rimase in quella camera, una tana di lupo, quattro anni, senza mai vedere il cielo. Telecamere a circuito chiuso ne registravano ogni movimento, ogni più piccolo gesto. Neanche quando andava in bagno poteva rimanere solo. Lo controllavano anche lì.

Un particolare della cella di Riina all'Asinara (foto L'Unione Sarda - Ansa)
Un particolare della cella di Riina all'Asinara (foto L'Unione Sarda - Ansa)
Un particolare della cella di Riina all'Asinara (foto L'Unione Sarda - Ansa)

"Mi vogliono sepolto vivo", furono le uniche parole di Riina nel primo giorno di detenzione nella Discoteca, in realtà il famoso Bunker dell'Asinara. Poi se ne stette tranquillo per il resto della sua "sepoltura".

Non parlava mai, non gli davano confidenza e non ne dava. Le guardie erano tutte sarde e tra loro parlavano solo il sardo, per non fare trapelare niente al boss. Un agente annotava sul registro qualsiasi cosa, anche i giornali che gli portavano: la Gazzetta il lunedì, visto che Riina amava leggere le cronache della sua Inter. Per il resto pochissimi altri contatti.

Un'immagine del bunker (foto L'Unione Sarda - Tellini)
Un'immagine del bunker (foto L'Unione Sarda - Tellini)
Un'immagine del bunker (foto L'Unione Sarda - Tellini)

Il "sepolto" se ne stava tutto il tempo a leggere la Bibbia e qualche testo sacro, poi poteva solo rimuginare sul chi e perché lo avesse tradito. Da mangiare glielo portavano con una valigetta sigillata, direttamente dalle mani del direttore del carcere Gianfranco Pala. Riina soffriva di emicrania, ma anche le pastiglie che prendeva venivano controllate una ad una.

Il contadino corleonese, comunque, non perse mai la calma e non ebbe mai un gesto di stizza, sino alla fine della sua detenzione sull'isola, Parco Nazionale da oltre vent'anni.

Tutto il contrario di suo cognato e vice Leoluca Bagarella, che appena si accorse di essere stato trasferito all'Asinara, di notte e con l'inganno, venne assalito da una violenta rabbia e non trovò meglio che sbattere la testa contro un angolo della porta nella sua cella di Fornelli. Gesto che gli procurò venti punti di sutura.

Il bunker accolse tra gli altri anche Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata. Cutolo, chiamato "O' Professore", perché rispetto ai suoi affiliati era tra i pochi a scrivere decentemente, era totalmente diverso dai boss siciliani, decisamente più estroverso. "Riceveva decine di lettere al giorno - afferma l'ex ispettore del carcere Giommaria Deriu - e rispondeva a quasi tutte. Poi passava il tempo a scrivere poesie".

Il boss di Ottaviano, però, rispetto a Riina godeva di maggiore libertà e gli diedero anche il permesso di sposarsi sull'isola, nel maggio 1983, con la giovane Immacolata Iacone. La cerimonia venne officiata da Don Piergiorgio Curreli nella chiesetta di Cala d'Oliva. I giornali ne parlarono per mesi.

Ora il bunker è rimasto intatto. Entrarvi fa quasi impressione. Si sentono in lontananza solo le grida dei gabbiani e quando c'è mare lo sbattere delle onde nella battigia. Il rumore degli stivali degli agenti non si ode più. Nell'aria rimane intatta la disperazione muta di chi entrava in questo posto e sapeva che non sarebbe più fuggito.
© Riproduzione riservata