“Forse è questo insegnare: fare in modo che a ogni lezione scocchi l’ora del risveglio”. Sono parole di Daniel Pennac che vengono in mente nel dialogo con Mario Vargiu, 85 anni, di Orroli, che per quarant’anni ha fatto il maestro elementare. Non in cattedra, ma in mezzo ai suoi alunni utilizzando in prevalenza l’amata lingua sarda con i suoi, mai dimenticati, “piccioccheddus”. 

Dal Sulcis alla Marmilla al Cagliaritano un lungo cammino nel mondo della formazione. L’ultima scuola, prima della pensione, è stata quella in via Sant’Alenixedda a Cagliari, punto di arrivo di un’intensa esperienza umana e didattica che gli è rimasta nel cuore. Circondato da libri, dipinti e stampe, nello studio della sua abitazione, davanti al Parco della Musica, fissa il prossimo obiettivo. Lui, che ha tradotto in sardo i Vangeli, il Libro di Giobbe, il Cantico dei Cantici, Pinocchio, L’uomo e il mare di Hemingway (“scrittore semplice con il grande merito di creare tensione emotiva”), ora vuole trovare una casa editrice che possa dare nuova vita ai Salmi già tradotti in “limba” e pubblicati in edizione limitata diversi anni fa (“opera numerada in cincuxentus copias”). Mostra le bozze, frutto di un lungo lavoro di ricerca e interpretazione, e legge il Prologo con la musicalità della lingua della sua terra.

I libri in lingua sarda

“Ho sardizzato i Salmi, sono pensati e scritti in sardo. Ora cerco un editore per questa opera a cui tengo molto”. Intellettuale, scrittore, traduttore e poeta. Nel 1979 ha ottenuto il riconoscimento più ambito al premio Sarcidano per la poesia sarda a Villanovatulo, il paese che ha dato i natali a Benvenuto Lobina: “Mi riempie ancora d’orgoglio”. Sulla parete dello studio c’è la pergamena che rievoca quel momento.  All’Università di Cagliari, prima della laurea in Pedagogia, incontri determinanti: “Ho trovato grandi maestri: Alberto Mario Cirese, Franco Epifanio Erdas, Antonio Sanna, Aldo Capitini, il Gandhi italiano, antifascista, poeta, educatore”.

Sono le basi teoriche per affrontare il capitolo successivo. “Ho collaborato con L’Unione Sarda e poi mi sono immerso nell’esperienza politica e intellettuale di Natzione Sarda. Correggevo bozze e scrivevo poesie. Anni straordinari con Eliseo Spiga, Elisa Nivola, Cicito Masala, Placido Cherchi, Antonello Satta. Ricordo le battaglie per difendere il valore e la dignità della lingua sarda. La Sardegna è sempre stata una colonia.  I vincitori ci hanno imposto la loro lingua. Ma dobbiamo riuscire a far prevalere la nostra. Ho cercato di offrire un contributo parlando in sardo con i miei alunni per non disperdere un patrimonio culturale  straordinario. Non bisogna fermarsi, I giovani devono conoscere la nostra lingua, Speriamo di farcela. Ma, con i miei 85 anni, per quello che vedo, sono scettico. C’è molta diffidenza da parte dei genitori e molti docenti non hanno una preparazione adeguata”.

Il pensiero torna al lavoro di traduttore: “Bisogna lavorare sui testi e trovare i termini giusti.  Non utilizzo i localismi, ma un campidanese mediano. Chi scrive deve farsi capire, diceva Pavese. Io scrivo per i sardi di buona volontà. Non si scrive per diventare ricchi, ma per lasciare qualcosa in eredità. Dopo la pubblicazione dei Vangeli in lingua sarda, Ottorino Alberti, allora arcivescovo di Cagliari, mi disse: “Hai fatto un grande dono alla chiesa”.

I “figli”

Nei suoi libri si è fatto accompagnare da artisti come Antonio Corriga e Angelo Liberati: “Hanno impreziosito i volumi con la loro creatività”.  Corriga e Liberati sono presenti, con le loro opere, nella casa di Mario Vargiu. “Continuo a leggere a studiare - ci dice - anche se l’età si fa sentire e non posso trascurare mia moglie, anche lei insegnante, che ora ha bisogno di assistenza. Non abbiamo avuto figli, ma a scuola ne abbiamo avuto tanti.  Nella scuola elementare in viale Marconi, in una classe, ho seguito 43 bambini. Non ero autoritario, ma occorreva mantenere la disciplina. In bagno sempre uno per volta”. E con tanti “figli” il rapporto, nonostante il tempo trascorso, non si è interrotto: “Mi gratifica molto. Li incontro spesso in città. Mi dicono: professore come sta? E io rispondo: non sono professore, sono maestro”. Il maestro che ha fatto scoccare l’ora del risveglio.

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