Ci sono situazioni in cui la realtà sembra superare ogni possibile fantasia. Un esempio è la vicenda di Edita Polachova, più conosciuta come Dita Kraus, nata a Praga nel 1929 e sopravvissuta allo sterminio nazista. A rendere fuori dal comune la sua storia è il fatto che Dita, quando era solo una ragazzina, divenne la bibliotecaria nel luogo più infernale che mente umana abbia mai concepito: Auschwitz.

Il dramma che ha segnato la sua esistenza e quella della sua famiglia ebbe inizio quando i nazisti occuparono la Cecoslovacchia nel 1939 e iniziarono a perseguitare gli ebrei. Per alcuni anni Dita, suo padre e sua madre vissero in una sorta di limbo in attesa dell’inesorabile destino previsto dalle autorità tedesche per i membri del popolo ebraico. Così, nel 1942, all’età di tredici anni, lei e i suoi genitori furono deportati nel ghetto di Terezin, poi ad Auschwitz. Poteva essere la fine per Dita, che invece seppe aggrapparsi alla passione che l’aveva accompagnata per tutta la vita: leggere libri. Le pagine scritte diventarono la speranza a cui aggrapparsi e la sua salvezza. Auschwitz sarà fatale ai genitori di Dita, che invece riuscirà a ricostruirsi una vita, a sposarsi, ad avere dei figli, a continuare a essere testimonianza vivente della sua esperienza di ebrea perseguitata.

Quella testimonianza è stata raccolta dallo scrittore spagnolo Antonio Iturbe nel suo bestseller “La bibliotecaria di Auschwitz”, oggi divenuto - con lo stesso titolo - una splendida graphic novel (Editrice Il Castoro, 2023,pp. 136), scritto da Salva Rubio e illustrato da Loreto Aroca.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

L’immediatezza delle illustrazioni e l’essenzialità dei testi e dei dialoghi (ben tradotti da Francesco Ferrucci) ci restituiscono in pieno l’eroismo – come chiamarlo in altro modo – di una ragazza che comprese il valore intrinseco della cultura, unico punto fermo che poteva aiutare lei, i suoi compagni e le sue compagne di lager a conservare la propria dignità. Come Primo Levi che ad Auschwitz ritrovò il senso della vita recitando alcuni versi della Divina Commedia a un altro deportato, così Dita trovò un senso in quello che le stava accadendo quando Fredy Hirsch, un giovane ebreo carismatico, le affidò la custodia di alcuni libri trafugati. In quel momento la stava destinando a una missione: non arrendersi. I nazisti bruciavano, infatti, la parola scritta rendendo tragica realtà la massima del poeta tedesco dell’Ottocento Heinrich Heine “Là dove bruciano i libri finiscono per bruciare anche gli uomini”.

Un'immagine dal libro (foto concessa)
Un'immagine dal libro (foto concessa)
Un'immagine dal libro (foto concessa)

Dita fece di tutto perché la parola scritta sopravvivesse anche all’inferno. Dita rischierà più volte la vita – possedere libri significava la morte ad Auschwitz – perché i bambini e gli adulti avessero la possibilità di sfuggire, anche solo per qualche minuto e con la fantasia, alla crudeltà della quotidianità. E saranno proprio le pagine dei libri di cui diventò l’improvvisata bibliotecaria, testi talvolta in lingue sconosciute, ad aiutare Dita ad affrontare l’orrore che stava vivendo, a darle un motivo per resistere, per sé e per gli altri, anche quando la realtà prendeva il sopravvento e l’unico orizzonte visibile era quello del filo spinato che circondava i campi.

© Riproduzione riservata