Mario Faticoni, attore, giornalista e scrittore, ha appena compiuto 85 anni.  Gli amici del mondo del teatro hanno organizzato la festa di compleanno nella casa Saddi a Pirri. Nato a Verona, ma sardo d’adozione, è uno dei fondatori delIa Cooperativa Teatro di Sardegna e artefice della compagnia “Il Crogiuolo” che ha scelto come casa il Teatro dell’Arco, in via Portoscalas a Cagliari.

Il palcoscenico che cosa le ha dato?

“Tutto, è sempre stato un’esigenza vitale. Con il teatro sono rinato dopo un’infanzia e un’adolescenza nella ‘fatal Verona’ in cui ho molto sofferto per la lontananza da mia madre. Avvertivo un senso di abbandono e solitudine. ‘Fai le smorfie’, mi diceva mia nonna e io ridevo e facevo il pagliaccio con le rudimentali capacità istrioniche di un bambino. Il teatro mi ha aiutato a superare quel trauma”.

Poi l’arrivo a Cagliari.

A Cagliari ho vissuto le esperienze del teatro universitario, il Cut, fondato nel 1959. Ci sentivamo dei pionieri con la volontà di costruire qualcosa di duraturo. Ho sempre in mente le parole del pittore Primo Pantoli: ‘Il destino degli operatori culturali in Sardegna è vedere il deserto e considerarlo area fabbricabile’. Volevamo rendere vivo il deserto. Il potere politico ci usava come strumenti per raggiungere i suoi fini, ma non aveva nessuna voglia di costruire il teatro in Sardegna”.

Nel 1968 è nata la Cooperativa Teatro di Sardegna.

“Un’esperienza fondamentale, un progetto rivoluzionario che ha creato una nuova sensibilità teatrale. Con i nostri spettacoli siamo andati in quasi tutti i paesi dell’Isola. Con ‘Su Connottu’ abbiamo fatto 350 repliche. Per me quel sodalizio è stata una famiglia dalla quale però non mi sono mai sentito tanto amato”.

Un ricordo?

“Al Festival delle Cinque Terre ho stretto la mano a Eduardo De Filippo. Eravamo lì per ritirare un premio per ‘Su Connottu’. Con noi, tra i premiati, c’era il grande Eduardo”.

Perché ha deciso di lasciare la Cooperativa ?

“Quella storia è finita con il ritorno della costante borghese che avevamo combattuto e vinto. Ho dovuto abbandonare, non per colpa mia, la creatura che avevo contribuito a forgiare. Nei primi anni Ottanta le cose cominciavano a cambiare. Arrivavano attori dal Continente e il gruppo perdeva lo spirito delle origini. Era difficile per me continuare quel percorso. Dopo quell’addio ho pianto per diverse settimane”.

Lei è stato anche giornalista  a “Tuttoquotidiano”.

“Sì, dal 1974 al 1978. Ho scritto molti articoli per la pagina della cultura con Vindice Ribichesu. Il giornalismo mi ha insegnato l’arte del comunicare in modo essenziale e diretto”.

Con “Il Crogiuolo” ha attraversato i territori della letteratura, della poesia e del teatro politico, questo cammino quanto è stato impegnativo?

“Molto impegnativo ma anche esaltante. Ho sviluppato la mia creatività e portato in scena i testi di grandi autori come Brecht, Rilke, Wedekind, Buchner, Pinter e dei poeti e scrittori sardi come Sini, Masala, Pintor e Dettori”.

Di Harold Pinter ha proposto “La serra”.

“A dir la verità volevo mettere in scena ‘I calapranzi’ ma la signora che curava i diritti delle sue opere in Italia mi disse: ‘Perché sempre I calapranzi? Ci sarebbe anche La serra, un’opera poco rappresentata’. Così nacque lo spettacolo che venne presentato al Festival di Asti, su suggerimento di Guido Davico Bonino. Ricordo la prima all’Arco con i critici teatrali dei più importanti giornali italiani”.

Un’altra prima, lo spettacolo “Dialogo” da un’opera di Natalia Ginzburg sempre all’Arco. Che cosa ricorda di quel momento?

“Ho condiviso quello spettacolo con Carla Chiarelli e il regista Luca Coppola, un grande talento che purtroppo non c’è più. Alla prima venne Natalia Ginzburg”.

Tanti compagni di viaggio.

 “Rino Sudano, Marco Parodi, Franco Noè, Gianni Esposito, Tiziana Dattena, Francesco Origo, Bruno Venturi, Tino Petilli, Vito Biolchini, Rita Atzeri alla quale ho affidato ‘Il Crogiuolo’, lo slancio e le energie che mette in campo mi commuovono. Con Petilli siamo diventati amici nel 1976 durante le prove di ‘Bertoldo a corte’ al Teatro delle Saline a Cagliari. Andavamo a mangiare in un bar di via della Pineta. Io gli confidavo le mie pene d’amore, lui mi ascoltava e mi dava consigli”.

Come si svolgono le sue giornate?

“Scrivo libri sulla mia vita artistica. Curo l’archivio che riflette le mie vite di teatrante e che è stato riconosciuto di interesse storico nazionale dalla Soprintendenza. Mi piace il giornalismo scenico e vorrei scandagliare questo orizzonte. Penso che il teatro possa trarre linfa vitale dagli scrittori e dai giornalisti che hanno raccontato l’Italia. Volo basso con tre parole d’ordine: sonno, cibo, abbracci. È chiaro che gli abbracci sono quelli che mi riscaldano il cuore ogni volta che salgo in palcoscenico”.

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