“Papà, perché siamo qui?”
“Perché siamo sinti e rom”.
“Siamo sinti e rom, ma non
abbiamo fatto niente.”
…e siamo arrivati ad Auschwitz.

Hugo Hollenreiner

Luca Bravi, storico, studioso della persecuzione e dello stermino di rom e sinti sotto nazismo e fascismo, continua a studiare e raccontare in tante scuole italiane (anche in quelle sarde) il “Porrajmos” o “Samudaripen”, l’orrore dello sterminio vissuto nei lager di Hitler dalle persone appartenenti alla categoria “zingari”, descritti come razza inferiore da eliminare, le cui tragiche vicende sono memorie colpevolmente rimosse. Storie di sofferenza e dolore che non possono essere dimenticate in occasione della Giornata della Memoria. Vicende che riguardano anche la Sardegna diventata, con le leggi razziali del regime fascista, luogo di deportazione di rom e sinti.

Il confino nell’Isola

«La vicenda sarda – avverte Luca Bravi – ci riporta - alle responsabilità italiane. Il fascismo comincia a costruire la categoria dello “zingaro pericoloso”. Viene deciso di “liberare” i confini, con una vera e propria pulizia etnica, dalla presenza di queste persone ritenute pericolose senza riferirsi a comportamenti specifici del singolo, ma solo per il fatto di appartenere a una categoria». L’attenzione di Mussolini si concentra sull’Istria dove c’è una folta comunità di rom e sinti: «In quel territorio - spiega lo storico - il regime decide di procedere alla loro registrazione. A partire dal 1937 vengono censite 80 famiglie. Da Roma arriva l’ordine di deportarle in Sardegna. Sotto il controllo dei carabinieri i gruppi familiari sono accompagnati a Civitavecchia per l’imbarco sul traghetto. Vengono destinati in piccoli centri (vengono individuati 13 paesi) dove restano sino al 1945. C’è una testimonianza che racconta di una bambina, Lalla, che nasce a Perdasdefogu. La mamma si trovava al confino».

Nel libro “La persecuzione dei sinti e dei Rom nell’Italia fascista” (appena pubblicato) la ricercatrice Paola Trevisan scrive che «la prima famiglia costretta a imbarcarsi per la Sardegna fu quella di Raidich Giovanni fu Giorgio, destinato a Urzulei con a seguito moglie e sei figli minori. Il 22 febbraio del 1938 vennero tradotti nell’Isola altri rom con i rispettivi familiari, tre giorni dopo altri 15 sempre con le famiglie. Il 7 luglio del 1938 partì da Civitavecchia per Terranova Pausania (Olbia) anche la famiglia di Hudorovich Michele». Nel sito in cui viene recuperata la memoria del “Porrajmos” c’è la mappa dei comuni sardi in cui rom e sinti sono costretti a trasferirsi. È una geografia poco esplorata dalla storiografia: oltre a Perdasdefogu e Urzulei, ci sono Loceri, Talana, Lula, Posada, Illorai, Ovodda, Nurri, Padria, Bortigali, Padria e Chiaramonti. “La maggior parte dei rom sottoposti al vaglio della Commissione fascista di Pola - annota Paola Trevisan - si vide comminare 5 anni di confino, pena massima per questo tipo di provvedimento e solitamente assegnata a individui che avevano commesso gravi reati”. Rom e sinti restano nell’Isola, nessuno di loro viene trasferito nei lager hitleriani.

Una famiglia vittima di persecuzione (foto concessa)
Una famiglia vittima di persecuzione (foto concessa)
Una famiglia vittima di persecuzione (foto concessa)

Nei lager

«Mezzo milione di zingari – chiarisce Luca Bravi – sono stati deportati nei campi di concentramento, ma è sempre difficile avere dati certi. Sulla deportazione e sullo sterminio ad Auschwitz abbiamo invece un’indicazione precisa grazie a Tadeusz Joachimowski, sopravvissuto polacco. Era il prigioniero incaricato di segnare su due libri gli ingressi di sinti e rom in quel luogo.  Sono stati 23mila i prigionieri di Auschwitz il cui nome è stato trascritto su quei volumi tra il febbraio 1943 ed il 2 agosto 1944».

Le memorie

Ora si cerca di rendere più forte queste memorie. L’Istituto sardo per la storia dell’antifascismo e della società contemporanea (Issasco), presieduto da Walter Falgio, ha dato vita nei mesi scorsi nel’Isola a un ciclo di incontri sul “Porrajmos”. Il confronto ha prodotto subito risultati. 

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