Un mistico che chiamava al rinnovamento interiore attraverso la preghiera e la meditazione. Ma anche un combattente che voleva liberare il suo popolo dalla superstizione e dalla povertà, un precursore dei diritti delle donne, un prigioniero torturato, un ricercato in fuga e infine un martire: fucilato a 31 anni per ordine del primo ministro dello Scià Nasser ad Din tra la costernazione dei suoi seguaci e lo sdegno dei testimoni occidentali, nemici delle rivoluzioni in patria, ma affascinati dai ribelli d’Oriente. Questo era Mírzá Alí-Muhammad, vissuto in Persia tra il 1819 e il 1850. Ma per oltre sei milioni di persone, oggi sparse in tutto il mondo, era molto di più: un Messaggero di Dio, come Maometto, Gesù, Buddha, Abramo. Chiamato ad annunciare l’avvento, pur tra mille difficoltà, di un’epoca di progresso materiale e spirituale. Lo chiamavano Bab, che significa Porta: il punto di passaggio dalla vecchia alla nuova Era. In questi giorni la comunità Baha’i, diffusa in tutti i Continenti, celebra i due secoli anni dalla sua nascita, nel 1819 a Shiraz. E sottolinea che, oggi come allora, un mondo di emarginati in subbuglio reclama diritti, solidarietà, fratellanza, giustizia sociale.

Il Tempio del Loto a New Delhi: nei templi Baha'i sono ammessi a pregare donne e uomini di tutte le religioni (foto archivio Baha'i)
Il Tempio del Loto a New Delhi: nei templi Baha'i sono ammessi a pregare donne e uomini di tutte le religioni (foto archivio Baha'i)
Il Tempio del Loto a New Delhi: nei templi Baha'i sono ammessi a pregare donne e uomini di tutte le religioni (foto archivio Baha'i)

DIALOGO SENZA BARRIERE - «La Persia del XIX secolo era un Paese retrogrado, gestito da un monarca feroce, guidato da un clero fanatico, ciecamente asservito alla tradizione. La donna era considerata meno di zero. Il popolo moriva di fame. Nel 1844 un giovane di 25 anni, un commerciante, non un membro del clero, si leva e dice: in nome di Dio, basta con la superstizione, apriamo una Porta alla conoscenza. Alla scienza, alla tecnica, allo sviluppo. A beneficio di tutti gli uomini e le donne». Giuseppe Robiati, 73 anni, cittadino del mondo con radici in Lombardia, ha speso una vita al servizio del suo credo religioso. È stato, per 45 anni, membro dell’Assemblea Spirituale nazionale, l’organo elettivo che guida i Baha’i d’Italia: qualche migliaio di fedeli ufficiali, circondati da un vasto universo di simpatizzanti e compagni di strada. Perché uno dei principi della religione (che ha in corso le pratiche per l’Intesa con lo Stato italiano) è l’impegno al dialogo, alla preghiera e all’azione sociale con gli esponenti di qualunque credo.

ATTUALITA' DEL MESSAGGIO - Nei giorni scorso Giuseppe Robiati era a Serdiana, ospite della Comunità La Collina. Ha parlato di cose delle spirito e di cose pratiche, che i Baha’ì sono tutt’uno: il lavoro fatto in spirito di servizio è considerato una preghiera. «Il Bab nel 1844 sfida il clero persiano sulla strada della unità nella diversità. Ricorda che un solo Dio, inconoscibile, parla attraverso tutte le epoche a tutti i popoli in una rivelazione progressiva». Non esiste una razza, uno Stato o una religione, superiore agli altri. Il Bab parla il linguaggio della fede, ma scardina le convenzioni sociali. Lo ascoltano i mistici della galassia dello Sciismo Duodecimano, che attendono il ritorno dell’Imam celato, apportatore di pace e giustizia, così come i venditori e i clienti dei bazaar che si arrabattano per sopravvivere. «Usa il Corano come un martello per demolire la ferocia del potere religioso che dominava anche la sfera politica», spiega Robiati. Cresciuto da sciita, il Bab predica nelle moschee dei sunniti. Scrive di Teologia, di Filosofia, di Legge. Prepara un Codice per la nuova Era, provocando l’ira dei capi religiosi e degli aristocratici. Grida davanti ai funzionari corrotti l’esigenza di giustizia del popolo. E il popolo lo ascolta, gli crede, si infiamma. «In sei anni - sostiene Robiati - un milione di persone è disposto a seguirlo». È nata la fede Babì.

Una Tavola (scrittura sacra) rivelata dal Bab (foto archivio Baha'i)
Una Tavola (scrittura sacra) rivelata dal Bab (foto archivio Baha'i)
Una Tavola (scrittura sacra) rivelata dal Bab (foto archivio Baha'i)

LA TEOLOGA CHE SI LEVA IL VELO - Nella cerchia dei più ristretti collaboratori c’è una donna: Fátimih Zarrín Táj Baragháni, che i Baha’i chiameranno poi Tahirih. La teologa e poetessa Babì nel 1848 si disferà del velo islamico, rivendicherà i diritti delle donne, insegnerà loro a leggere e scrivere, persino alle familiari dei suoi carcerieri. Le sue poesie, diffuse clandestinamente, giunsero in Turchia, in Afghanistan, in India. Catturata e imprigionata, sarà uccisa, lapidata e gettata in un pozzo, nel 1852, due anni dopo la morte del Bab. La sua vicenda fu raccontata all’epoca dai giornali di tutta Europa. Oggi è divenuta un romanzo: “La donna che leggeva troppo”, di Bahiyyih Nakhjavani, edito da Rizzoli. C'è un mondo da cambiare

Un potere antico in disfacimento, nuove classi sociali in cerca di riconoscimento, una tensione costante fra tradizione e aspirazione alla modernità (che allora era sinonimo di progresso): la Persia del XIX secolo non era così diversa dall’Europa, sconvolta dall’industrializzazione, inquinata, attraversata da conflitti sociali, rivoluzioni, restaurazioni, massacri. A guardar bene, somiglia tanto anche al mondo attuale. «Oggi come allora un mondo in rapido cambiamento è governato da norme antiquate che garantiscono i privilegi di pochi ai danni dei molti», dice Beppe Robiati. Che non è un sovversivo, ma un ingegnere, un imprenditore, con un passato di manager ai vertici di un colosso nazionale, e oggi tiene un corso di Etica dell’Economia all’Università di Bari. «Il sistema economico-politico è ancora modellato sui rapporti di forza che portarono agli accordi di Bretton Woods, stipulati nel 1944 tra gli imminenti vincitori della Seconda Guerra Mondiale», dice. Fondo monetario, Banca Mondiale, Wto (subentrato nel 1995 al Gatt), persino l’Onu (con il suo Consiglio di sicurezza dove i cinque vincitori della Seconda Guerra mondiale hanno diritto di veto sull’Assemblea) sono visti con comprensibile risentimento dalla stragrande maggioranza dei Paesi e dei popoli privi di reale potere. «In questi duecento anni sono stati fatti progressi innegabili. Eppure due terzi dell’umanità non ha accesso a istruzione e sanità», incalza Robiati. «Avere il passaporto giusto garantisce, a pochi, sicurezza e prosperità. Gli altri sono tagliati fuori. La cittadinanza è una questione cruciale». È urgente, sostiene, la creazione di un governo mondiale rappresentativo di tutti i popoli, fondato su conoscenza, solidarietà e giustizia sociale.

DAL BAB A BAHA'U'LLAH - Il messaggio del Bab, fu raccolto 13 anni dopo la sua morte da uno dei suoi più fedeli seguaci, Mirza Husain ’Ali Nuri, conosciuto come Baha’u’llah. Nato a Teheran nel 1817, abbandonò agi e ricchezze per seguire il mercante divenuto profeta. Nel 1853 proclamò di essere la Manifestazione di Dio che era stata preannunciata dal Bab. La comunità dei fedeli si scisse: una minoranza (detta degli Azali) rifiutò di seguirlo e ancora attende Colui che Dio renderà manifesto. La maggior parte però riconobbe Baha’u’llah come capo spirituale e lo seguì, tra molte dolorose persecuzioni, in un esilio che lo vide morire in Palestina, a San Giovanni d’Acri. Ora le spoglie di Baha’u’llah e del Bab sono conservate sul Monte Carmelo, nell’attuale Stato di Israele, dove si trova la Casa Universale di Giustizia, l’organo (sempre elettivo) di governo mondiale dei Baha’i.

Il Mausoleo dove sono conservate le spoglie del Bab ad Haifa (foto archivio Baha'i)
Il Mausoleo dove sono conservate le spoglie del Bab ad Haifa (foto archivio Baha'i)
Il Mausoleo dove sono conservate le spoglie del Bab ad Haifa (foto archivio Baha'i)

LE PERSECUZIONI - I Baha’i nel mondo sono almeno sei milioni. I numeri non sono precisi, perché nei Paesi islamici la fede è vietata in quanto eretica. Particolarmente aspre - e invano documentate dalle Nazioni Uniti - le persecuzioni in Iran, soprattutto perché l’uguaglianza di diritti tra uomini e donne è un caposaldo della fede Bahai. Nei giorni scorsi tre giovani Baha’i tra i venti e i trent’anni, arrestati lo scorso aprile a Semnan per “attività contrarie alla sicurezza nazionale”, sono stati condannati a pene fra i cinque e dieci anni. La poetessa Mahvash Sabet ha raccontato la sua esperienza di prigioniera di coscienza nel volume “Poesie dalla Prigione” (Il Verri Edizioni) con il quale nel 2017 ha vinto il PEN Pinter Prize per la libertà di parola.

OTTIMISTI - Molti fra i circa cento Baha’i della Sardegna (concentrati tra Cagliari, Quartu, Sassari e Nuoro) sono di origine iraniana. Chi li incontra nella vita quotidiana spesso neanche immagina le tragedie che hanno vissuto, celate per riservatezza e per non mettere ancora a rischio amici e parenti. Duecento anni dopo la nascita del Bab e di Baha’u’llah, il loro messaggio di pace, democrazia e rispetto della diversità ha guadagnato rispetto, ma è ben lungi dal trionfare. Eppure i Baha’i non si dicono delusi, né preoccupati. «Mi rendo conto che è difficile oggi essere ottimisti», afferma Gian Paolo Soddu, 71 anni, presidente dell’Assemblea Spirituale Locale dei Baha’i di Cagliari. «Le promesse di prosperità e benessere della cosiddetta ''civiltà occidentale'' si sono rivelate illusorie» dice Soddu, un ingegnere appassionato di Filosofia. «I tradizionali modelli di pensiero, consolidatisi in un mondo frazionato e caratterizzato da concentrazioni di potere, non rispondono alle necessità di un mondo globalizzato, ove ogni barriera è caduta». Il mondo odierno è multietnico, policentrico, ricco di sfumature e bisogni inascoltati. I nostalgici guardano indietro, reclamano frontiere e sovranità degli Stati. «Invece servono nuove regole e una visione che risponda al principio di unità nella diversità e realizzi un governo mondiale». Ci vuole coraggio per crederci, mentre il Medio Oriente è in fiamme, la richiesta di libertà e giustizia viene schiacciata in Cile come a Hong Kong, il Mar Mediterraneo è una tomba di migranti. «Sono i segni di un travaglio doloroso, che vedrà nascere un nuovo mondo, pacifico, unito e giusto», ribatte pacatamente Soddu. «Il grado di sofferenza e la durata di questo processo dipendono solo dalla misura e dalla velocità con cui ne diventeremo consapevoli e modificheremo in senso solidale i nostri comportamenti, la nostra visione e le nostre scelte».
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