Il cibo è cultura e identità. È condivisione, dialogo e confronto. È una delle manifestazioni più immediate e chiare della tradizione di un territorio, un linguaggio che non conosce barriere. Il cibo coinvolge la memoria, i sentimenti e perfino la religione. Sulla tavola di Pasqua, dal nord al sud della Sardegna passando per il centro, ogni piatto è una scoperta. Iniziando dal dolce, la protagonista è la Pardula, conosciuta in italiano con il nome di "formaggella". Le Pardulas (o Pardule) sono dei cestini di pasta "violada" a base di acqua, farina e semola, chiusi pizzicando la pasta fino a formare una sorta di corolla. L'interno contiene un ripieno a base di ricotta, zucchero e zafferano, spesso arricchito da scorza di arancia o limone. Tipicamente la ricotta è di pecora, ma è frequente trovare delle varianti a base di ricotta vaccina o a base mista. In alcuni paesi del Sulcis la Pardula ha una forma che ricorda una rosa, in Gallura l'impasto è impreziosito dall'uvetta. Al naturale, cosparsa di miele, spolverata con dello zucchero a velo o spennellata con un sottile strato di glassa ("sa cappa"), la Pardula vanta ormai un successo tale da poter essere considerata un sempreverde della tradizione culinaria sarda.

La citazione della Deledda
Nel centro-nord dell'isola le Pardulas diventano Casadinas e si presentano con un diametro maggiore. Le Casadinas prendono il nome dal formaggio del ripieno ("casu"), a cui viene talvolta aggiunta della menta e del sale, fino a renderle formaggelle salate. Grazia Deledda, in "Tradizioni Popolari di Nuoro", le definisce «schiacciate di pasta dentellate con gli orli rivoltati e contenenti del formaggio fresco impastato con sale e zafferano», e racconta l'usanza di offrirle in dono al sacerdote che passava di casa in casa per la benedizione pasquale. Per entrambe le ricette la tradizione vuole che le dentellature siano sempre in numero dispari, di solito 5 o 7 nel caso delle Pardulas, 11 o 13 (o più) nel caso delle Casadinas.

Il pane pasquale

Oltre ai dolci, in ogni celebrazione che si rispetti non può mancare il pane, soprattutto in Sardegna, terra in cui la panificazione è un'arte così antica e importante tanto da essere stata definita dall'antropologo Alberto Cirese come uno dei tratti più intrinseci e rappresentativi della cultura sarda. I pani "pintaus" (pani decorati) sono realizzati da mani esperte con l'utilizzo di forbici, pinzette e rotelle e presentano forme, dimensioni e ricami differenti a seconda della ricorrenza. In occasione della Quaresima e della Pasqua vengono confezionate diverse tipologie di pane, tra cui: Sa Pippia de Caresima, Sa Pramma, Lazzareddu e Su Coccoi cun s'ou. Sa Pippia de Caresima è una sorta di calendario popolare. È un pane che raffigura una bambina con 7 gambe corrispondenti alle domeniche che mancano alla Pasqua, contando dalla prima di quaresima. Ne esistono anche delle versioni di carta e la tradizione vuole che si stacchi una gamba ogni domenica. Sa Pramma (la Palma) rimanda all'intreccio delle palme benedette, mentre Lazzareddu rappresenta in modo realistico la figura di Lazzaro. Su Coccoi cun s'ou, chiamato "Su Bibilliu" in Gallura, è un pane di semola di grano duro infornato con l'uovo, simbolo di rinascita, molto amato soprattutto dai bambini. Immancabile, come portata principale della celebrazione di Pasqua, l'agnello, servito arrosto o come ripieno de "Sa Panada", cestino di pane all'interno del quale gli ingredienti si cuociono come se fossero in pentola, tipico di Assemini e Oschiri, consumato in tutta l'isola con farciture di ogni tipo.

La tradizione resiste
Nonostante sia in crescita il consumo di colombe e uova di cioccolata, queste specialità proprio non possono mancare sulle tavole pasquali dei sardi. Di quelli che vivono nell'Isola, di quelli lontani che la portano nel cuore e di quelli d'adozione, che hanno incontrato la Sardegna e se ne sono innamorati.

Francesca Muscas

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IL VIDEO (di Veronica Fadda):

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