Roman è un imprenditore che ha cominciato la sua carriera dalla strada. Ma Roman è anche un uomo colto, che ama i libri, un visionario dotato di una sensibilità che, purtroppo, fatica ad emergere perché soffocata dalla sua spregiudicatezza.

Grazie a relazioni finanziarie e politiche discutibili, riesce a costruire un impero immobiliare che sta in piedi fino a quando poteri più o meno occulti lo disarcionano dal suo cavallo, lasciandolo a piedi. Come un Don Chisciotte del XXI secolo, il protagonista si rende conto di combattere contro nemici impossibili da battere ma non rinuncia alla lotta, anche se lo fa in maniera personale, eccentrica, dedicando tutto se stesso alla ricerca ossessiva di un manoscritto sconosciuto – oppure semplicemente inesistente – di Cervantes.

Forse quella può essere per Roman la chiave per salvare se stesso dando un senso alla sua esistenza. Intanto i suoi nemici si stringono attorno a lui pronti a sferrare l’attacco finale al suo impero economico.

Questi i temi e le vicende alla base dell’interessante Un uomo a piedi (Bietti, 2017, Euro 15,00, pp. 300) del poeta e drammaturgo Carmelo Pistillo. Un romanzo che ci racconta la crisi di valori della nostra società odierna partendo in un certo senso dalla sua anima nera: il sottobosco di illegalità dove gli squali della finanza, della politica e dell’economia giocano le loro partite più sordide. In questa giungla si muove Roman, un uomo contraddittorio come spesso contraddittoria è la nostra epoca: "Da un punto di vista etico Roman è un paradigma negativo – ci racconta Carmelo Pistillo –. Ha un’anima nera, è vero, ma pur sempre di un’anima si tratta. Quest’anima è fatta anche di storia, di cultura, di sapere, tutti elementi che però non bastano a riscattarlo e liberarlo completamente da una sorta di furia greca che sembra governare la sua vita".

Cosa lo spinge ad andare sempre avanti, a non fermare mai la sua ricerca?

“Da un certo punto in avanti non c’è modo di tornare indietro. È quello il punto in cui bisogna arrivare. Sono parole di Kafka che suonano come una paradossale condanna. Roman è un Amministratore delegato operativo, quindi un uomo d’azione, il cui pensiero stesso diventa azione. Roman scopre di essere stato estromesso dai giochi di potere e di non contare più nulla. Realizza di doversi accontentare di quelle che considera, a torto, delle briciole. Da qui la sua duplice reazione: da un lato salvare con ogni mezzo la sua azienda e dall’altro cercare un libro forse per scoprire la parte mancante di sé. Ecco perché non può fermarsi. Come i vecchi attori che vogliono morire in scena".

Perché cerca proprio un libro di Cervantes?

"Bisogna arrivare alla fine del romanzo per conoscere le ragioni della ricerca ossessiva di un libro scritto dall’autore del Don Chisciotte, un manoscritto, però, di cui non si sa nulla. Attraverso il suo fidato autista, una sorta di scudiero con l’impegnativo nome di Virgilio, sente l’urgenza di trovarlo e averlo finalmente fra le mani. Quel libro rappresenta forse qualcosa di segreto, il piccolo cosmo interiore di Roman rimasto indecifrabile, il suo porto sepolto, per usare il titolo e il senso della raccolta poetica di Ungaretti scritta in trincea durante la prima guerra mondiale.

Certamente, il protagonista, registrato all’anagrafe con il nome di Roman, anziché Romano, si sente figlio di questa incompiutezza, di questo errore originario. Non sente la forza compensativa dell’amore che, come dice il poeta polacco Milosz, è quell’oro vivo nel sangue che annulla il nostro nome vuoto".

La lotta di Roman ha un senso?

"Roman viene gettato nella disperazione dagli squali dell’alta finanza europea e tenta il tutto per tutto. Sa di avere di fronte un avversario più forte di lui ma non vuole arrendersi. Vuole essere lui a chiudere la partita, mostrando i denti per dare l’ultimo morso. Per Roman quindi la lotta ha comunque senso".

Forse anche per noi la lotta di Roman ha un senso perché il suo avversario è proprio il Potere, quello che appare invincibile. Ma cos’è il Potere per lei? Che caratteristiche ha?

"Gli uomini che manovrano le leve del comando sono animati da un senso di onnipotenza, si sentono padroni del mondo e capaci di controllare la propria volontà e quella degli altri. Sono convinti che non conosceranno mai la sconfitta o comunque, se cadranno, cadranno dopo il nemico o insieme a lui. Questa categoria di persone immagina missioni impossibili, e pensa di possedere i talenti necessari per andare in battaglia e uscirne vincitori. A questa categoria appartengono anche le mafie, se ci pensiamo. A volte mi stupisco di come queste strutture criminali, nonostante i continui arresti e il loro smantellamento, continuino a rigenerarsi seguendo le linee naturali di un processo biologico inarrestabile. Morto o arrestato un boss, ne subentra subito un altro, convinto di essere migliore del precedente e di farla franca. L’unione danaro e potere, d’altra parte, è una miscela esplosiva, scatena l’ingordigia e il superamento del limite. L’impulso di potere, come ci ha insegnato la psicoanalisi di Adler e Jung, ha bisogno però di una compagna d’avventura".

Una compagna?

"Certo, la sessualità. Temi non nuovi, perché sin dal Medioevo la Chiesa considerava l’avidità e la concupiscenza come i due principali peccati da condannare senza possibilità di appello. Oggi, queste due antiche passioni si chiamano potere e pulsione sessuale e formano una travolgente forza psichica che sembra muovere il mondo. Esattamente come il denaro, al centro dello scacchiere economico mondiale e della vita degli uomini. Il denaro come il potere passa sempre di mano in mano. Il capitale non rimane mai fermo, non può rimanere fermo, il suo destino è cambiare proprietario. E influire sul corso della storia e sulla vita degli uomini".

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