#Dialogo con gli scrittori: la grande letteratura aiuta a vivere
Isabella Mastino sulle tracce di Grazia Deledda e Lev TolstojLa grande letteratura è senza tempo ed è universale. Ogni volta che leggiamo le pagine di un classico ce ne rendiamo immediatamente conto. Le parole dei grandi scrittori e delle grandi scrittrici ci scavano dentro oppure ci sollevano verso l’alto. Isabella Mastino, sassarese doc, è da molto tempo una fervida sostenitrice del valore della letteratura a livello umano, psicologico, pedagogico e sociale. Ce lo dimostra, testi letterari alla mano, nel suo ultimo libro, Pillole di letteratura (Echos edizioni, 2024, Euro 13, 00, pp. 80) in cui ha raccolto alcune delle più belle pagine della letteratura dell’Ottocento e del Novecento, divise per argomenti che spaziano dall’analisi dei sentimenti più nascosti a riflessioni sulle difficili condizioni dell’uomo, nella malattia, nella disperazione, finanche nella morte.
I principali autori scelti, dalle cui opere sono tratte le pagine riportate, sono Lev Tolstoj e Grazia Deledda. Nelle loro parole si condensa la più profonda introspezione dei tormenti dei personaggi, che sono tormenti nostri, l’analisi acuta della società e dei suoi rapporti con i singoli individui e i cui messaggi di speranza, amore per la vita, fede in Dio risuonano all’unisono.
Ma non mancano brani di altri scrittori, come Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Charles Dickens, Alejandro Jodorowsky, Miguel de Cervantes in un libro da libro da leggere, ma anche da consultare nel momento del bisogno, per trovare conforto e vicinanza da parte di grandi scrittori, quasi fossero nostri confidenti. A Isabella Mastino abbiamo voluto chiedere quale è stata la genesi di un libro così particolare: «L’idea di scriverlo nacque durante i miei studi su Grazia Deledda e Lev Tolstoj. Alcune pagine riportavano riflessioni talmente profonde ed incisive da poter esser lette anche al di fuori della storia nella quale erano state inserite. Riflessioni di natura universale su temi particolarmente umani e delicati, quali i dolori dell’infanzia, la disperazione, la rinascita, ed anche temi di rado trattati, forse perché riguardano debolezze umane difficili da ammettere, quali, ad esempio, la gelosia per il passato del proprio amato o della propria amata».
Quest’ultimo è in effetti un tema insolito e poco trattato. Per quale motivo, a suo parere?
«Credo sia perché la gelosia cosiddetta retroattiva, a differenza di quella classica, ha molto più a che fare con la sfera interiore di chi la prova, che non con eventi tangibili. Non è legata – solitamente – ad avvenimenti presenti ed attuali che possono suscitare la gelosia di una persona innamorata, ma è legata al passato – aspetto evanescente, impalpabile della vita di chiunque – sul quale non si può avere alcun controllo né alcuna voce in capitolo. È una particolare gelosia che può raccontare qualcosa di noi stessi molto più di altri sentimenti, e Grazia Deledda in particolare affronta quasi psicoanaliticamente questo sentimento, mostrandolo secondo la sua modalità speciale, senza giudizio alcuno ed in tutte le sue fattezze, positive o negative che siano».
Come mai nel libro sono a confronto proprio Grazia Deledda e Lev Tolstoj?
«Sono due scrittori che hanno sondato le profondità dell’animo umano, raccontando con sincerità talora disarmante ogni sfaccettatura dell’uomo, i percorsi spesso tortuosi che devono essere affrontati per giungere alla meta suprema della vita, cioè alla reale conoscenza di sé stessi».
Ma veramente la grande letteratura ci può dare conforto nella vita quotidiana?
«Un grande teorico della letteratura, di nome Tzvetan Todorov, che amo moltissimo, affermava di amare tanto la letteratura perché la letteratura ‘lo aiutava a vivere’. Io posso parlare a titolo personale, certa di rispecchiare il sentimento di chi ama la letteratura: perché più di una volta, ritrovando me stessa nelle pagine amate, mi sono sentita meno sola. La letteratura può sopire quel senso di solitudine che talvolta offusca la visione della vita, perché la vita, com’ebbe a osservare Grazia Deledda nel suo romanzo Il paese del vento, ‘è sempre la vita; con le sue pause ingannevoli, con le sue grazie e le sue crudeltà a volte intrecciate insieme’. Per questo motivo ho deciso, oltretutto, di scrivere il libro: perché le pagine riportate mi hanno dato molto conforto in alcuni dei momenti più difficili della mia vita, e ho desiderato condividerle, nella speranza che possano dare ristoro a chiunque le legga».
Perché Grazia Deledda non gode della popolarità che meriterebbe?
«In realtà gode di una grande popolarità all’estero (si pensi ad esempio alla Norvegia, che le ha dedicato un aeroplano) e fra i lettori. Non gode di popolarità nelle cosiddette élite letterarie. Le ragioni sono tante, ma io credo ce ne sia una in particolare: per la capacità di Deledda di porre a nudo la natura umana, di descriverla scevra da condanne, come una osservatrice amorevole e non di rado addolorata da ciò che appartiene anche a lei stessa, questo animo umano controverso, contradditorio, affaticante, e tuttavia unico nel mondo. Il suo stesso concetto di fede cristiana, talmente profondo e intenso e percettibile in ogni sua pagina, non è privo di disapprovazione di molti dogmi della religione stessa. È una scrittrice libera. E la libertà vera, non mascherata né apparentemente imposta, raramente è apprezzata».
In cosa è universale la letteratura di Deledda?
«Nella sua descrizione della natura umana, appunto. I suoi romanzi potrebbero essere ambientati ovunque; la Sardegna rappresenta la cornice nella quale si innesta la tela dei suoi romanzi, e la stessa natura sarda si fa emblema di natura universale; quella natura sarda che lei afferma ‘brilli di una miracolosa luce; luce che scaturiva dalle profondità della terra, e che aveva un giorno riflesso davvero l’anima assetata di divinità dei suoi avi pastori e poeti’».
Cosa rappresenta per lei scrivere?
«La vita di ciascuno di noi, per quanto sia unica e solitaria, è legata a quella del prossimo. Per me, scrivere -e contestualmente leggere- rappresenta il modo – forse l’unico - per cercare di capire me stessa e gli altri. Il modo più autentico per comunicare e, parafrasando Walt Whitman, per ‘contribuire anche io con un mio verso’, in questo difficile e ‘potente spettacolo’ che è la vita di ciascuno di noi».