Non era solo un cantautore, ma un narratore di anime, un poeta sempre dalla parte degli ultimi che con la sua musica ha dato voce a chi non ne aveva.

Nel giorno in cui avrebbe compiuto 85 anni, la Camera dei Deputati ha reso omaggio a Fabrizio De Andrè con “… Ma tu rimani, buon compleanno Faber”, un appuntamento che ha riunito istituzioni, artisti e studenti per ricordare il suo impatto indelebile sulla cultura italiana.

Nella Sala della Regina, le parole e le melodie di Faber hanno riecheggiato più vive che mai. L’onorevole Anna Ascani ha aperto l’incontro con un ricordo personale: «Oggi qui c’è la vicepresidente della Camera, ma c’è anche una persona che a 17 anni suonava in una cover band di Fabrizio De André. A testimoniare che le sue parole non sono tramontate, ma più vive che mai, sono anche i giovani che portano le sue canzoni a Sanremo».

Fabrizio De André era un cantore dell’umanità, capace di trasformare il dolore e l’ingiustizia in poesia. «Se oggi ci troviamo qui – ha detto il presidente della commissione Cultura, Federico Mollicone – non è solo perché ha scritto capolavori ancora ascoltati da tutti, ma perché è stato un evocatore di mondi, un raccontatore di storie uniche e universali».

L’omaggio a De André però non si è fermato alla celebrazione dell’artista, ma ha toccato anche il lato più intimo e umano del cantautore. Dori Ghezzi, compagna di una vita e presidente della Fondazione a lui dedicata, ha ripercorso momenti importati della loro esistenza, come il rapimento in Sardegna del 1979.

«Uno dei rapitori – ha raccontato Ghezzi - disse che preferiva Guccini. Fabrizio gli rispose: potevate prendere lui allora». E il rapimento, invece di trasformarsi in rabbia, divenne un’occasione di riflessione per il cantautore genovese, tanto da portarlo a scrivere, qualche mese dopo “L’Indiano” e a vedere nei suoi sequestratori non solo carnefici, ma vittime di un sistema che non lasciava scampo.

«Dopo quel disco, i rapimenti non sono più accaduti. A qualcosa è servito, si sono un po’ vergognati», ha aggiunto Ghezzi. «Ma quell'episodio, ci ha insegnato il valore del concetto di libertà». E forse è proprio qui la grandezza di De André: nella capacità di trasformare il dolore in consapevolezza, nell’empatia che ha reso le sue canzoni eterne.

Ancora oggi, chiunque ascolti Hotel Supramonte può sentire il peso di quei giorni di prigionia, ma anche la forza di chi non ha mai smesso di cercare la verità. E mentre Roma si prepara a ospitare una nuova edizione del Premio De André, una cosa è certa: la sua voce non si è spenta. Continua a raccontarci l’Italia, con le sue contraddizioni e le sue speranze. E noi continuiamo ad ascoltarla, perché, come cantava lui, «anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti».

(Unioneonline/Fr.Me.)

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