In principio sono state le launeddas. "Studiavo all'istituto per geometri a Cagliari e un giorno, passeggiando in via Manno, ho visto queste strane canne esposte nella vetrina di un negozio". È in quell'occasione che Roberto Corona, etnomusicologo di Quartucciu, oggi 58enne, capisce che vuole studiare a fondo quello strumento, capire le tecniche di costruzione per poi arrivare a suonare. "Ho avuto due maestri: Pasqualino Erriu di Gerrei e Antonio Porcu di Villaputzu. Avevo vent'anni, mi hanno aperto un mondo".

Da quel momento un viaggio appassionato alla ricerca non solo degli strumenti tipici suonati in Sardegna, ma anche nelle altre parti del mondo: in Giappone, India, Spagna, Turchia, Iran. Fino a scoprire l'argul egiziano, lontano parente delle nostre launeddas, costruito con due canne ma senza fori. "E pensare che da bambino non mi interessava assolutamente la musica. Poi a sedici anni, spinto anche dagli amici, sono entrato nel gruppo folk di Quartucciu ed è allora che ho scoperto il magico mondo della musica sarda".

Adesso ha più di settecento strumenti: "Se devo essere sincero ho perso anche il conto. Sono tutti conservati nelle scatole per preservarli dall'umidità. Anche allestire mostre non è facile perché trovare una sede abbastanza grande per ospitarli tutti non sempre è possibile. Inoltre vanno custoditi dentro teche e le amministrazioni hanno difficoltà a reperirle. Di recente siamo stati nel Lazio, ora ho preso contatti con la Polonia".

Nella collezione di Corona uno spazio importante è occupato dagli strumenti utilizzati nei riti della Settimana santa. Il suono del lutto nel battere incessante de "Is Arranas", portate in processione dai chierichetti: sono formati da una ruota di legno dentata montata su un perno che serve da manico e che crea proprio un gracchiare simile a quello delle rane. Voce di morte anche nelle "Matraccas", utilizzate dai sacrestani per avvisare che stavano iniziando le funzioni religiose, quando in segno di lutto venivano legate le campane.

Nel suo studio a Quartucciu custodisce anche centinaia di strumenti ad ancia del Mediterraneo: cornamuse, clarinetti, oboi. Tra i più curiosi c'è un flauto lunghissimo della Slovacchia, un tubo in noce di un metro e mezzo tutto intarsiato. "Ogni pezzo conserva un pezzo di storia e a realizzarli sono spesso persone che non ti aspetti: come quel piastrellista che mi aveva regalato un sulittu".
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