“Non sono sardo. Non sono barbaricino. Almeno all’anagrafe. Il mio cuore, però, batte per questa terra che ne contiene tante in una sola. Anche i miei piedi sentono di toccare un suolo amico quando calpestano quelle foreste, valli, montagne”. Comincia con queste parole “Barbagia è libertà” (Ediciclo editore, pp. 208), non una guida di viaggio, ma una vera e propria storia di affetto per la Barbagia soprattutto, per la vicina Ogliastra e per tutta la Sardegna.

Autore del volume è il giornalista Luca Bergamin a cui chiediamo come prima cosa: come è nata la scelta di percorrere a piedi e poi raccontare la Barbagia?

“Si parte sempre per scoprire qualcosa che è lontano da sé, scoprendo poi di sentirlo più vicino a se stesso di quanto si sarebbe immaginato. È stato così tra gli alberi secolari della Barbagia, negli ovili design, sopra i monti, nei canyon, sui tacchi di pietra, nelle foreste, davanti ai murales e soprattutto in mezzo alla gente di questa terra fiera, mai doma e mai dominata. Per tutti era l’antro inestricabile dove venivano celati i sequestrati quando quella piaga infestava l’Italia intera. Adesso a sequestrarti è la sua bellezza rimasta vergine, sono i suoi borghi magmatici, il suo cibo di cui non ti sazi mai. Ne vuoi sempre ancora e ancora, come dei suoi nuraghi, piscine naturali, tombe dei giganti, galoppatoi nel nulla, discese improvvise, ardite, arzigogolate verso il mare ogliastrino”.

I giovani tenores di Oliena (foto concessa)
I giovani tenores di Oliena (foto concessa)
I giovani tenores di Oliena (foto concessa)

In che senso la Barbagia è per lei il cuore della Sardegna?

“Un amore non si spiega, lo si prova, consuma. Ogni sentimento, per me, deve sbaragliare altrimenti non si prova. E io lì ho provato un amore: ho camminato da solo e con altre persone, conosciute in precedenza e conosciute dopo, ho sentito gioia, calore, rabbia e paura. Insomma, ho sentito. In Barbagia le sensazioni, i turbamenti non sono mai superficiali. Esistono poche terre così, adesso che possiamo andare ovunque, e sempre. Quando attraversi la Valle di Lanaittu provi un senso mistico di appartenenza, è come una madre. E la mamma si ama. Sempre”.

Uno dei Tacchi dell'Ogliastra (foto concessa)
Uno dei Tacchi dell'Ogliastra (foto concessa)
Uno dei Tacchi dell'Ogliastra (foto concessa)

Perché la Barbagia “ubriaca” come scrive nel libro?

“Non mi riferivo al cannonau!  Anche se a Jerzu bisogna andare per conoscere la storia di questo vino e di un dottore davvero bizzarro e geniale che incarna lo spirito, la curiosità, la voglia di imparare e fare sistema che accomuna tanti barbaricini. Sono i panorami a inebriarti… e le amicizie. Io racconto di Gianni, il mio Virgilio, la mia guida botanica. A tutti auguro di trovare nel cammino dei giorni che abbiamo una persona che conosca così nel profondo ogni virgulto che spunta nel luogo in cui ci si trova a camminare. Perché quello è il vero senso di appartenenza, una scienza anche del vivere visto che non la si custodisce gelosamente, ma viene messa a disposizione di chi è disposto a sobbarcarsi le fatiche del viaggio. Sì, perché la Barbagia sa essere anche faticosa, rude, abbarbicata nei cuori e nelle strade”.  

Interno di un fiordo nel mare di Baunei (foto concessa)
Interno di un fiordo nel mare di Baunei (foto concessa)
Interno di un fiordo nel mare di Baunei (foto concessa)

Cosa ha trovato in questa terra che proprio non si aspettava?

“Mi ha sorpreso l’amore verso gli animali. A Urzulei la proprietà esiste e non esiste: nel senso che chi possiede un cavallo lo tiene libero nelle praterie, si accontenta di vederlo scalpitare, muoversi e correre dove gli pare. Mi ha reso molto felice capire il legame con il passato, dai nonni pastori agli avi dei nuraghi. Un barbaricino si sente bene tra le vestigia della sua storia, per lui gli antenati sono presenze concrete. E poi ci sono le storie umane, dai maniscalchi ai tenores, dagli artisti ai contadini, dalle ricamatrici a chi si infila in testa una maschera dalle fattezze orrende e recita ancora una volta una parte perché il filo con la tradizione non si spezzi. E, infine, c’è Grazia Deledda. Quello che lei ha fatto con la penna rappresenta una trama intessuta di sentimenti e verità che non è mai stata raggiunta da alcun altro essere umano in Barbagia. Io, umilmente, ho provato a seguire le tracce della scrittrice di Nuoro. E mi sono perso, felicemente perso, lì dentro questo intrecciato. Ecco, provate a farlo anche voi: non ne sarete delusi. Anzi”.   

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