Difficile racchiudere in un’unica definizione un protagonista della cultura e dell’arte come Carmelo Bene. Attore, regista, intellettuale scomodo e fuori dal coro, sperimentatore. Soprattutto un poeta che fece della propria vicenda umana un esperimento totalizzante, audace e fantastico.

A vent’anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel marzo del 2002, un libro celebra la sua attorialità irripetibile e la sua poetica eternamente attuale. Si tratta di “Essere Carmelo Bene” (Porto Seguro, 2021, pp. 102), una piccola guida per chi non conosce questo grande attore o lo conosce male e ha voglia di iniziare ad amarlo.

All’autore, Giacomo Maria Prati, chiediamo prima di tutto che libro è "Essere Carmelo Bene”? Un saggio? Una biografia letteraria e teatrale?

“Si tratta di un canto, un'opera sperimentale che vuole restituire il senso di una comunicazione orale, basata sul parlato. È un libro che non si pone come testo proprio per stare in risonanza e coerenza con la poetica di Carmelo Bene per il quale il testo è cosa morta e solo l'orale è vivo. Il mio è quindi una sorta di monologo dove non sono quasi più distinguibili le mie parole da quelle di Bene e dove sintetizzo in nove capitoli nove carismi-temi di tutta la vita-opera di Carmelo Bene in modo che anche chi non lo conosce ne possa apprezzare lo spirito creativo, critico e, direi, barocco-futurista”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Da dove nasce la scelta di occuparsi di un personaggio tanto particolare?

“Da ragazzo vidi in televisione la sua trasposizione dell’Adelchi di Manzoni e una delle sue versioni dell'Amleto (Hommelette for Hamlet) che ancora oggi amo e che considero un capolavoro totale, vivo, stimolante. Fu un trauma salutare. Durante il lockdown l'opera di Carmelo mi ha aiutato a tenere vivo e calmo lo spirito: le sue creazioni sono più estreme di qualsiasi limite esterno”.

Come attore è stato irripetibile?

“Come per tutti i grandi interpreti e performer - figura di cui lui fu l'antesignano italiano -, come tutti i grandi artisti i doni naturali, esercitati al massimo, non sono riproducibili come prodotti”.

In cosa Carmelo Bene si distinse particolarmente, a suo parere?

“Il tempo attuale dimostra una cosa: abbiamo ottimi attori ma pochissimi autori. Manca una poetica, un pensiero sull'arte e sulla bellezza che si elevi sopra l'immediatezza commerciale e televisiva. Carmelo Bene fu l’unico che riuscì ad attuare la visione estetico-etica di Nietzsche nella quale si è chiamati ad ‘essere capolavori’ e non a produrli”.

In cosa Carmelo Bene è ancora attuale?

“In tutto: nella sua poeticità e paradossalità, nella ricerca dell'estremo e dell'eccesso nella sperimentazione, nella centralità della voce e del corpo quali totalità linguistiche, nel mescolare linguaggi (musica lirica, letteratura, arte, teatro, cinema) alla ricerca di una nuova lingua. Ad un livello di libera creatività di simile vastità e profondità vedo pochissimi altri poeti: Franco Battiato, Paolo Conte. Oggi nell'arte, in tutte le sue forme, non è possibile scorgere una insoddisfazione e inquietudine, segni tradizionali del genio artistico”.

In quali opere possiamo riscoprire il suo genio?

“Tutte, specie le sue quattro versioni dell'Amleto, così trasformato ma pure così fedele all'essenza del tragico. E poi le poesie quasi illeggibili del suo poema 'l Mal de fiori e la meravigliosa Pentesilea, spettacolo teatrale dove emerge in purezza l'essenza del Mito quale Voce nel deserto. Carmelo è una vitamina per la mente e per l'anima. Basta ascoltare su You Tube i suoi quattro monologhi filosofici, Quattro Momenti su tutto, il nulla, per capire come sia riuscito prodigiosamente a metabolizzare in sé stesso due secoli di modernità e a farsi ponte tra il nostro tempo e l'origine magica del teatro quale azione totale. La mia breve ma intensa opera è a questo finalizzata: dare il senso della genesi dell'arte, del travaglio creativo che Carmelo magnificamente incarnò per sé e per tutti noi, a testimonianza vivente di una tensione ideale, di un voler andare oltre il proprio ego, anche autoriale. Nella società dell'ego e del narcisismo di massa quale antidoto vitale migliore?”

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