«Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno».  Ci sono le idee e i valori di Enrico Berlinguer in queste parole che riassumono gli slanci che hanno sempre animato la sua azione politica. Vengono in mente leggendo “Opposizione. L’ultima battaglia di Enrico Berlinguer” scritto dal giornalista Luca Telese (Solferino, pagine 384) da oggi in libreria.

A 40 anni dalla morte, l’11 giugno del 1984, quattro giorni dopo il drammatico comizio a Padova, affiorano ricordi e nuovi spunti di riflessione.  

«L’ultima battaglia di Berlinguer – spiega Telese - è stata dimenticata e rimossa, eppure va riscoperta perché in quel momento affronta temi e emergenze che oggi si ripresentano. A 40 anni di distanza si verificano le stesse condizioni degli ultimi mesi di vita di Berlinguer. C’erano la crisi economica, l’inflazione, la guerra, la crisi energetica e anche allora Israele attaccava i palestinesi. Ora facciamo i conti con gli stessi fantasmi».

Quali sono le bussole che Berlinguer segue in quella notte che è molto simile alla nostra notte?

«Mette al centro del dibattito e del suo agire politico la questione sociale e la questione morale, due bussole molto attuali».

Partiamo dalla questione sociale.

«Difende, nella strenua battaglia contro Bettino Craxi, i lavoratori dipendenti colpiti dal decreto di San Valentino che blocca la scala mobile, il meccanismo in base al quale le buste paga vengono adeguate all’ascesa dell’inflazione. In Italia, dopo il referendum sulla scala mobile, le buste paga sono cresciute meno rispetto al resto dell’Europa.  E di pari passo è diminuito il potere d’acquisto».

La questione morale, l’altra stella polare.

V«iene rilanciata nell’intervista a Eugenio Scalfari nel 1981. Nel partito in tanti esprimono critiche: Ora con chi facciamo le alleanze? Ci fa litigare con i socialisti. Berlinguer parla del Paese, non sta parlando di un partito. I partiti hanno occupato le istituzioni, la sanità, le aziende, l’informazione. Sembra un’intervista rilasciata oggi».

Vicino alle masse, ma distante dal gruppo dirigente. Avverte un senso di solitudine dentro il partito?

«Sì, nel libro ricostruisco i dettagli dell’ultima direzione in cui si scontra con un blocco di dirigenti molto importanti, Giorgio Napolitano, Nilde Jotti, Giancarlo Pajetta, Giorgio Lama, che gli dicono: questa linea sarà giusta ma dove andiamo a sbattere? Racconta Aldo Tortorella che i riformisti del Pci gli chiedono: ma Enrico dove vuole andare? I giornali e la satira lo prendono di mira: non capisce più la società. Però, questione morale e questione sociale mettono radici nel Paese, tra Berlinguer e il suo popolo si crea una grande sintonia, una connessione molto forte. Entra in contatto anche con persone molto diverse da lui. Nel libro racconto un fatto che sembra strano oggi. Al suo funerale fa parte del picchetto d’onore Federico Fellini che aveva avuto e avrà successivamente simpatie per il Partito repubblicano. Ma quel giorno rende omaggio al leader del Pci».

Tutto questo crea le basi del sorpasso sulla Dc alle elezioni europee del giugno del 1984 pochi giorni dopo la morte del segretario del Partito comunista.

«Berlinguer ha sorpassato la Dc. Rimase in lista da morto perché le liste non potevano essere modificate. Non solo sorpassò la Dc, ma fu il candidato più votato in tutta Europa con 715 mila voti. Qualcuno ha detto: un fatto emotivo dopo il comizio eroico, la morte e i funerali in piazza San Giovanni. Non è così. Alla manifestazione del 24 marzo del 1984 contro il decreto di San Valentino c’era un milione di persone a Roma, in piazza con il Pci di Berlinguer e la Cgil per la difesa delle buste paga, una battaglia che Enrico Berlinguer aveva convintamente condotto. È un grande catalizzatore di consensi e di passioni. Poi affronta il tema della pace e la battaglia contro gli euromissili. Nel 1982 riattiva la marcia della Pace di Assisi e cita San Francesco che aveva saputo contestare "la ragionevolezza della guerra e delle crociate e la distinzione fra guerre giuste e guerre ingiuste"».

La Sardegna è sempre un porto sicuro.

«Uno degli uomini della sua scorta, Roberto Bertuzzi, racconta l’ultima vacanza a Stintino. L’unico momento in cui si rigenera. All’arrivo, dopo lo sbarco dal traghetto, è preoccupato per la figlia Bianca che deve seguire il corteo di auto (la vettura di Berlinguer e quella della Digos) alla guida della sua A112. Bianca, a un certo punto, tampona l’auto della Digos. E a Stintino, la sera, Bertuzzi nota che Berlinguer sta osservando la vettura della polizia e sente queste parole: “Meno male, non ci sono danni”.  In Sardegna passa da un regime urbano a Oloturia, il suo gozzo. Gli piace il mare, gli piace attraversare le Bocche di Bonifacio. E accoglie, lo ricorda Gavino Angius nel libro, i dirigenti sardi del partito che gli portano pecorino e cannonau».

Nel video le interviste a Livia Turco, già dirigente comunista e ministra e a Mario Pani, già segretario regionale del Pci, che ha accompagnato Enrico Berlinguer  nell’ultimo viaggio in Sardegna.

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