«Cara Unione,

sono qui per parlare di quella che è l’esperienza in un ristorante come lavoratore dipendente. A chi pensa che i giovani non abbiano voglia di lavorare, che crede che gli stipendi siano congrui, che sia giusto dare così tanto spazio agli imprenditori di questo settore in televisione o sui giornali per raccontare la loro verità, ora ti racconto la mia.

Il mio contratto di lavoro recita aiuto cuoco, sono assunto part-time per un totale di 24 ore settimanali e vengo pagato poco sopra i 1100 euro mensili. Fin qui si direbbe che è un lavoro più che dignitoso, non trovate? Peccato che sia tutta una facciata che mantiene il titolare agli occhi del fisco ma che si tramuta in un incubo per chi, come me, ha bisogno di un lavoro e necessita di un’entrata fissa.

Entri in quest’ottica pieno di promesse da parte del titolare che stabilisce con te un fisso mensile che poi, ti racconta, crescerà all’aumentare delle tue mansioni. Inizi dalle basi, come lavapiatti, contratto a chiamata perché mica può farti subito un contratto più serio di quello. Indipendentemente dalle ore che lavori, prendi comunque lo stesso fisso. La mia prima stagione ho lavorato 6 giorni su 7, spezzato 4+4, che in realtà diventano tranquillamente 5+5 nel migliore dei casi, nei peggiori ti avvicini a fare il continuato, per un totale settimanale che va dalle 60 alle 70 ore. Sempre sotto organico, finisci per fare il lavoro di due o tre persone contemporaneamente, a un livello di stress che va oltre le stelle e un titolare che ti fa sentire perennemente in colpa se, per caso, a fine pranzo manca qualcosa e un cliente che entra a cinque minuti dalla chiusura non può ordinare proprio quel determinato piatto.

Divento il secondo di cucina abbastanza in fretta e mi ritrovo a gestire il servizio, fare gli ordini per i fornitori e formare il nuovo personale. Aumento di stipendio inesistente. Vengo assunto a tempo determinato per un anno, ore sul contratto 24, un part-time al 60%, ore lavoratore reali minime 50 la settimana. Non cambia niente, nuove promesse, tutta una serie di nuovi progetti all’interno dell’azienda che ci costringono a cambiare nuovamente organizzazione ma a noi piace il lavoro e si va avanti così.

Continuo fino alla stagione successiva, crescita esponenziale delle mie capacità e delle mie mansioni. Prima della stagione chiedo un aumento di 200 euro, un tanto che mi permetterebbe di affrontare l’aumento delle spese della benzina, perché intanto è iniziata la guerra in Ucraina, sia per le promesse del titolare che non ha mai mantenuto. Il titolare mi accusa che non è una proposta onesta, che chiedo troppo, che non se lo può permettere e che in futuro forse si vedrà. Lo aumenta della metà. 1100 euro al mese tutto incluso. Cosa vuol dire? Significa che in quei 1100 euro ci sono la retribuzione ordinaria, il TFR anticipato, la 13esima e la 14esima. Dopo un anno, scoprirò che dentro c’è anche il trattamento integrativo 3/2020 (l’ex bonus Renzi).

Si continua così ma il contratto, a settembre, sta per scadere, così mi impunto. Non ce la faccio più e voglio mollare.

Sapete cosa succede? Che i tuoi colleghi sono delusi da te perché vuoi andare via, che siamo una famiglia e vuoi fuggire dalle tue responsabilità. Un ambiente tossico, un mix di emozioni e famiglia che ti trattiene e alla fine accetti che non farai più lo spezzato ma che comunque continuerai con lo stesso stipendio, stavolta a tempo indeterminato, il contratto peggiore che si potesse firmare. Rimango part-time, lo stipendio è lo stesso, le ore rimangono 50 ma il titolare decide di aumentare la sfida e il carico di lavoro da 100 diventa quasi 10.000. Non è una battuta, abbiamo davvero aumentato notevolmente il carico di lavoro in cucina fino ad esplodere. Il primo di noi a dicembre va via. Siamo sotto organico ma il titolare non prende nessuno, così ci tocca fare il lavapiatti a rotazione perché siamo solo tre persone per il lavoro che normalmente si farebbe in dieci. Finisce che il lavapiatti lo faccio solo io perché tanto lo spezzato non lo faccio, gli altri devono riposare, bisogna saper fare i sacrifici … Così continua fino a oggi che non riesco più a stare in piedi. Abbiamo preso un lavapiatti ma finiamo sempre per lavorare troppo. Siamo stanchi, lo diciamo al titolare, ma lui continua a metterci peso addosso.

Io lavoro infortunato, ammalato, stanco, depresso, sono in cura da più di un anno da una psicologa per assorbire lo stress che non mi fa dormire né riposare, ho dolori al petto frequenti, l’ansia alle stelle, sono senza soldi e non riesco neanche ad andare avanti. Sto male, penso a farmi male da solo pur di non andare a lavoro, ho attacchi di panico, incubi.

Decido di chiudere e andare all’ispettorato del lavoro. Non mi accolgono, non è un’urgenza, ci vuole un mese per parlare con qualcuno. Provo con una consulente del lavoro. Nel mentre sono in malattia per un piede malandato. Provo a chiedere per un periodo di malattia più lungo per stress da lavoro correlato, sono sicuro di soffrire di workaholism dato che il clima aziendale non mi permette di esistere all’infuori del lavoro, nessuno però si prende la responsabilità di firmare un certificato medico, perché poi l’INPS crea problemi. Ma io sto male, sto male al punto che sto pensando di rinunciare ai soldi e chiudere anticipatamente il contratto di lavoro regalando soldi allo stesso carnefice che sta distruggendo la mia esistenza. 

E ancora si parla di giovani che non vogliono lavorare?

Siamo stanchi, provati, depressi, ancorati a un’esistenza creata facendo parlare i ristoratori in televisione, lasciando loro la possibilità di trattarci da schiavi a 3 euro l’ora, ad essere sempre reperibili, senza ferie, giorni liberi, riposi, malattie … rinunciamo a tutto pur di regalare una serata magnifica nei ristoranti che noi mandiamo avanti ma nessuno pensa a noi, nessuno ci aiuta a uscire da questa situazione senza tutele che è stata creata.

Non so se sopravvivrò in tutto ciò. L’unica cosa che so è che lo Stato DEVE aiutarci, deve ridarci la dignità che ci ha tolto. Lo Stato DEVE essere più presente e fare i controlli a tappeto piuttosto che aspettare una nostra denuncia nonostante il nostro mondo sia così fitto che se ti permetti di denunciare avrai smesso di lavorare nel settore. Bisogna parlare con noi, cuochi e camerieri, che veniamo sfruttati giorno dopo giorno senza sapere dove sbattere la testa».

Lettera firmata (*)

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