«I “bee” a San Siro e il silenzio assordante di stadio e telecronisti»
«Ieri non sono stati i pastori sardi a retrocedere, ma chi ha scelto l'indifferenza di fronte a un grido che discrimina un popolo, una cultura, un territorio»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Cara Unione,
il fragore dello stadio si è trasformato in un coro di odio, un ululato che ha trafitto l'aria e le coscienze.
Ieri sera, a San Siro, durante la partita di calcio tra Milan e Cagliari un gruppo consistente di tifosi ha intonato, più e più volte, un coro offensivo nei confronti dei tifosi sardi, riducendoli a un'infima caricatura.
Un gesto vile e gratuito che ha gettato un'ombra lunga sul mondo del calcio.
Il verso del "bee", ripetuto insistentemente, non era solo un insulto, ma un'accusa velenosa che mirava a denigrare un intero popolo e un intero territorio.
Mentre ascoltavo, la mia mente è tornata indietro nel tempo, ai mesi trascorsi nel Marghine, dove ho conosciuto Mario, un pastore sardo.
Un uomo semplice, ma dalla profonda cultura, che amava il suo lavoro e la sua terra.
Il contrasto tra l'immagine di Mario e quella dei tifosi che hanno intonato quel coro offensivo è stridente.
Da un lato, un uomo che ha dedicato la sua vita a coltivare la terra e a prendersi cura degli animali, dall'altro, un gruppo di persone che ha scelto di esprimere il proprio odio attraverso un gesto vile e gratuito.
L'intero stadio ha assistito a questa scena in un silenzio assordante. Un silenzio che ha fatto da eco al coro offensivo, amplificandone la portata.
Mi sono chiesto: «Il Milan e Milano sono davvero questo?». E mi sono risposto: «No, non possono esserlo».
Ieri non sono stati i pastori sardi a retrocedere, ma chi ha scelto l'indifferenza di fronte a un grido discriminatorio.
Il silenzio dello stadio e dei telecronisti è stato un'assenza di coraggio che ha reso tutti complici di quel gesto discriminatorio.
Non solo chi ha intonato il coro, ma anche chi lo ha ascoltato senza reagire. È un segno di come la nostra società sia ancora troppo spesso indifferente di fronte alla violenza e alla discriminazione.
Le parole di una canzone di Fabrizio De André, "Dove fiorisce il rosmarino c'è una fontana scura", risuonano con particolare intensità in questo contesto.
Il rosmarino, simbolo di memoria e di resistenza, cresce rigoglioso anche nei luoghi più inospitali.
Allo stesso modo, la comunità sarda, malgrado le offese subite, continua a portare avanti le proprie tradizioni e la propria cultura.
Ieri sera, allo stadio, abbiamo assistito a un'altra faccia della medaglia: un'umanità che sembra aver smarrito il senso delle proprie radici, che si nutre di odio e di pregiudizi.
Ma non dobbiamo arrenderci. Come il pastore di De André, che continua a camminare nonostante le incertezze, dobbiamo continuare a lottare per un mondo più giusto e equo. Un mondo dove il rispetto per la diversità sia un valore fondamentale, e dove il calcio sia uno strumento di unione e non di divisione.
"Dove fiorisce il rosmarino
C'è una fontana scura
Dove cammina il mio destino
C'è un filo di paura
Qual è la direzione
Nessuno me lo imparò
Qual è il mio vero nome
Ancora non lo so."
Semplicemente #Faber
Piero Podda – Guspini
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