Il Coronavirus ha sconvolto le nostre vite: ci ha obbligato a rimanere a casa, a far cambiare le nostre abitudini, a far sperimentare nuove modalità di lavoro e di studio.

Troppo spesso si è dato per scontato che la disuguaglianza sia in primo luogo un fenomeno di tipo economico. Ricordo che il mio professore di sociologia affermava che le disuguaglianze si declinano sempre su tre livelli: quello del trattamento, quello delle opportunità e quello della condizione.

Pensate ad un padre che lascia in eredità tre pezzi di terra uguali ai suoi tre figli. Immaginate le condizioni di questi tre pezzi di terra dopo un anno, a causa di trattamenti, opportunità e condizioni differenti e le conseguenti "diseguaglianze" che si possono originare tra i tre eredi.

Hans Magnus Enzensberger ci ricorda che negli ultimi anni si sono conquistati nuovi diritti e nuove aspettative, sono emerse attese di uguaglianza che non si possono soddisfare e al contempo si è fatto sì che ogni giorno per 24 ore, la disuguaglianza venga dimostrata su tutti i canali televisivi a tutti gli abitanti del pianeta. Ragione per cui la delusione umana è aumentata con ogni progresso.

Se ci pensiamo bene il Covid non sta facendo altro che mettere in evidenza queste diseguaglianze: tra chi ha uno stipendio fisso e chi non lo ha, tra chi deve stare a casa e chi vorrebbe stare a casa, tra chi può stare in smartworking e chi non può, tra chi ha un computer e chi non lo ha, tra chi può vivere il lockdown in una casa spaziosa e chi (magari in 5) vive in 40 mq, tra chi ha il cibo e chi non lo ha.

Come ci ricorda il sociologo Ferrarotti, per il post Covid "servirà un nuovo concetto di sviluppo, ritmato sulle esigenze dell'uomo che non sono assolute e illimitate".

Andrea Zirilli

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