"Cara Unione,

dietro all'omicidio commesso nei giorni scorsi a Roma ci sarebbe una questione di droga.

Ogni giorno il vostro giornale riporta di operazioni di polizia e carabinieri che sequestrano chili e chili di sostanze illegali da un capo all'altro della Sardegna.

E secondo i dati statistici il consumo di stupefacenti nel nostro paese è, se non in aumento, quanto meno stabile.

Il tutto con tanti ringraziamenti da parte della criminalità organizzata che, al netto di qualche danno collaterale (sequestri, arresti ecc.), incassa quotidianamente fiumi di denaro.

Ma nessuno si azzarda mai a fare distinguo: un conto sono le droghe pesanti, un conto quelle leggere.

Un conto è il trafficante, lo spacciatore "professionista", un conto il consumatore saltuario, che vuole solo svagarsi (parlo soprattutto delle droghe leggere ovviamente).

Se la situazione è questa - droga in mano alla criminalità, che guadagna e crea le condizioni per fatti di sangue e piccoli consumatori di droghe leggere che restano invischiati in cose più grandi loro e che magari poi finiscono in tribunale rallentando pure la macchina della giustizia - non sarebbe più ragionevole puntare, anziché sul proibizionismo, sulla liberalizzazione delle droghe, almeno di quelle leggere?

Si sottrarrebbero "risorse" a mafia e criminali, si ridurrebbero omicidi, risse, regolamenti di conti e via dicendo e si svuoterebbero anche le aule dei tribunali. I dati di alcuni Paesi occidentali più aperti sono eloquenti in questo senso.

Da noi invece prevale sempre la linea dura e questi sono i risultati.

Che fine hanno fatto gli anti-proibizionisti? Perché nessuno conduce più la (secondo me sacrosanta) battaglia che un tempo era del compianto Marco Pannella?"

Pietro F. - Cagliari

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