"Cara Unione,

ho letto non senza profonda emozione, e commozione, la vicenda personale del grande campione Pietro Anastasi, che ha scelto la sedazione profonda per lasciare moglie e figli ormai distrutto nel corpo dalla SLA, per le cui conseguenze è morto a 71 anni.

Quando Anastasi ha scelto di morire "c'eravamo io e mio figlio con lui - ha raccontato la moglie in un'intervista - 'Mi faccio sedare', ci ha comunicato. 'No, aspetta', l'ho pregato. Ma aveva deciso. Ha salutato l'altro nostro figlio che sta in America, chiamandolo via Skype, e alle sette di sera si è addormentato. Alle dieci e mezza era morto".

Se n'è andato dunque così, in un dignitoso silenzio, quel campione che come ha giustamente ricordato ai funerali Beppe Marotta 'ha creato la nobiltà dell'essere meridionale', e ha portato tante generazioni di italiani a tifare Juve, e ad amare il calcio. Quell'uomo da molti soprannominato il 'Pelè bianco', siciliano di nascita ma esploso calcisticamente nel Varese nella seconda metà degli anni '60, e poi ingaggiato dalla Juventus nel 1968. Per lui 8 stagioni in bianconero, vincendo 3 scudetti e segnando 78 reti in campionato. Nel 1976 il passaggio all'Inter, dove è rimasto per due stagioni vincendo una Coppa Italia. E poi il titolo di campione d'Europa con la Nazionale italiana nel 1968, accanto a Gigi Riva. In azzurro disputò in tutto 25 partite, segnando 8 reti.

Ebbene, per lui il ricordo sui campi di calcio italiani è andato in scena, con un minuto di raccoglimento, solo a Torino e Lecce, da parte di Juventus e Inter.

'Ci dobbiamo vergognare', ha tuonato Claudio Gentile. Modestamente, mi sento di associarmi alla sua indignazione".

Massimo Loi - Cagliari

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