"Cara Unione,

siamo tutti guerrieri.

Domenica, per la prima di campionato, siamo rimasti attoniti nel vedere l'allenatore del Bologna che faceva il suo lavoro nonostante le condizioni di salute fossero estremamente proibitive.

Lo abbiamo chiamato 'guerriero', un uomo solo contro un male ostico, difficile e duro, molto duro da sconfiggere. L'aspetto smagrito, a tratti scavato, gli occhi spenti e quella concentrazione sul campo lo hanno reso un eroe, un paladino della positività di fronte al destino che pare ineluttabile.

Ho avuto un padre che ha conosciuto una sorte simile e mi ha fatto incontrare altri guerrieri come lui. Erano persone semplici, sconosciute, silenziose.

In quel dannato reparto del Policlinico di Monserrato se ne stavano spesso in disparte a guardare la grande vetrata che offriva un paesaggio scarno, secco, poco stimolante. Erano persone malate e lo erano da diverso tempo. Natale, Pasqua e ferragosto erano solo date sul calendario, niente di più.

Mio padre era come loro, col suo carattere positivo infondeva speranza, e anche se di loro nessun giornale parlava, anche se non erano esempi mediatici, questi malati come tanti altri, ogni giorno, hanno combattuto la loro battaglia silenziosa.

C'erano giorni che alla sera portavo una pizza e questo rendeva la serata diversa, quell'odore di mozzarella e capperi generava allegria. Erano guerrieri pure loro, anche nella loro solitudine potevi sentire il sordo rumore della loro lotta.

E mi piace, oggi, ricordarli, perché in quel reparto dell'ospedale, ogni giorno, qualcuno fa i conti con la propria vita, in silenzio, combattendo".

Marco Cavallet - Monserrato

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