«Cara Unione,

non scopriamo oggi che il Mondiale invernale in Qatar, in mezzo al deserto, è stato il risultato di una logica molto politica e senz’altro di business, ma certamente poco sportiva. E non scopriamo certo oggi che il Paese ospitante non è un modello ideale di rispetto dei diritti umani, delle minoranze e dell’uguaglianza.

Lo sapevamo già quando, il  2 dicembre 2010, l’allora presidente FIFA Sepp Blatter scelse di rompere con ogni protocollo e tradizione assegnando contemporaneamente sia l’edizione 2018 alla Russia che l’edizione 2022 al Qatar. Un punto di non ritorno in un processo di trasformazione del calcio da sport e spettacolo a strumento di politica economica. Cui, però, nessun Paese, nessun giocatore, ha scelto di non aderire.

Trovo dunque legittime certo, ma sterili e quasi ipocrite le proteste di questi giorni. C’è stato tempo per alzare la voce e mettersi davvero in mezzo, ma nessuno è andato fino in fondo».

L.P. 

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