A mmettiamolo almeno per amore di discussione: può darsi che Salvini abbia dei difetti. Però neppure i suoi critici più duri sono mai riusciti a dargli dell'introverso. Al contrario, il ministro si batte quotidianamente come una cooperativa di leoni contro il rischio che gli italiani ignorino il suo pensiero su qualunque fatto che ricada nelle sue tre deleghe: Trasporti, Infrastrutture e Tutto il resto. Perciò twitta, e se non twitta posta, e se non posta dirama comunicati, comizia, opina, esterna a favore di telecamera e a sfavore. È noto il caso penoso del doganiere che si è dimesso perché ogni volta che il ministro passava il confine lui, per regolamento, doveva chiedergli se avesse qualcosa da dichiarare. E quello si illuminava, lo faceva accomodare sul sedile del passeggero e inceppava per ore il confine (“Già che me lo domanda, caro amico, le dico…”). Quindi è angoscioso che dopo aver commentato i dazi al 15% e la seconda canna del Frejus, i manifesti romani e i disordini No Tav, non abbia spiccicato sillaba su Mosca che inserisce Mattarella nella lista nera. Eppure era facile capire con chi stare, fra un dittatore guerrafondaio e l’anziano galantuomo che rappresenta la nostra democrazia. Invece nulla, a Sassari direbbero che non gli è uscito manco un tuncio. E no, ministro: tunci pure. Dica. Scriva. Non ci faccia preoccupare.

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