Su Coccone ‘in Mele, la ricetta del pane dolce di Mamoiada
I consigli per una perfetta preparazione con Luciana Balia, della pasticceria Cardenia di MamoiadaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Continua il viaggio tra le ricette tradizionali della Sardegna, con una preparazione del pane tipica di Mamoiada: su Coccone ‘in mele.
Ecco i consigli per una preparazione perfetta di Luciana Balia del panificio-pasticceria Cardenia di Mamoiada.
STORIA DI UNO DEI PANI PIÙ ANTICHI DELLA SARDEGNA
«Non c’è una data di riferimento, lo abbiamo sempre conosciuto, soprattutto a Mamoiada. Qui abbiamo una cultura molto forte su questo dolce che viene riservato per il periodo di Sant’Antonio, che si festeggia il 16 e il 17 gennaio. È un dolce che si prepara in occasione di questa festa, quindi viene fatto anche in casa: girando per Mamoiada in quei giorni, si sente un profumo diffuso di zafferano.
L’origine del nome? Letteralmente significa “pane con il miele” o addirittura “pane con le mele”. Invece è il colore del pane che gli dà il nome: essendo fatto con una base di zafferano, assume un colore giallo-miele. Quindi coccone in mele, perché ha il colore del miele, pur non avendone al suo interno».
GLI INGREDIENTI
«Metà semola e metà farina 00. Dai 150 ai 200 grammi di zucchero, qualcuno ne mette anche 220. Poi si mette molto zafferano».
PREPARAZIONE
«Gli ingredienti si impastano e già mentre si impastano appare il colore, che è un giallo acceso, poi nella cottura ne perde un po’. Il fiore dello zafferano viene tostato prima al forno e poi con un cucchiaino viene schiacciato fino a diventare la polvere che tutti conosciamo; ma è molto diversa come profumo e intensità di colore. Poi si aggiunge il lievito di birra, ma anticamente si usava il lievito madre, adesso non lo usa quasi nessuno. Si lascia lievitare circa un’ora e mezza. L’impasto deve risultare molto liscio, non troppo duro ma neanche troppo morbido, altrimenti sa pintadura, ovvero i disegni che si fanno sul pane, scomparirebbero durante la lievitazione. Quindi deve essere malleabile ma un po’ duro.
Lo zafferano va sciolto in un goccio di acqua calda che a sua volta va messa in un altro recipiente con l’acqua fredda. Lo zafferano va messo piano piano sia per vedere la gradazione di colore che assume sia perché l’impasto arrivi alla massa necessaria per essere lavorato, altrimenti rischierebbe di essere troppo duro o troppo morbido. Invece a mano a mano che si impasta si aggiungono lo zafferano e l’acqua. Deve diventare un impasto omogeneo e liscio: le impastatrici ci aiutano molto sotto questo aspetto.
Lo si lascia riposare un po’ e poi si fanno dei “bastoncini” di pasta da cui si ricavano diverse forme: la “S” di Santo e la “A” di Antonio. Si fanno dei cestinetti: prima con un pezzo di pasta molto fine si scrivevano i nomi dei figli o dei nipotini. Si personalizzava a seconda dei bambini che c’erano in casa. E poi si faceva un tondo o un ferro di cavallo. Comunque, la S e la A si fanno quasi sempre.
Per lo spintare si usano le antiche pinzette che servono per fare il pizzicotto (il disegnino) e poi si usano dei piccoli coltellini e si fanno dei tagli tutt’intorno, anche lì a seconda della fantasia di ognuno. C’è chi fa anche delle rose, ma per decorarlo in modo artistico è necessaria una pasta un po’ più dura. Il disegno si fa dopo la lievitazione».
LE DECORAZIONI
«Quando l’impasto è abbastanza gonfio, lo si mette in forno, dove subisce un altro trattamento che si chiama imbirdare: praticamente vicino al forno c’è un recipiente con acqua bollente e quando la cottura del dolce è quasi terminata, si toglie il dolce dalla teglia con un mestolo, lo si capovolge e lo si immerge anche se non del tutto, ma solo la parte superiore nell’acqua bollente, e poi si rimette subito dentro il forno. Questo gli dà quella lucentezza che normalmente ha su coccone in mele che, se non si facesse questa operazione, rimarrebbe opaco. Invece questa immersione nell’acqua bollente gli dà quella lucentezza e una maggiore bellezza che ne completa l’aspetto esteriore. È un pane lievitato dolce, va consumato nel giro di due o tre giorni per gustare al meglio il sapore e la morbidezza.
È un pane che non manca in nessuna casa per la festa di Sant’Antonio, noi lo facciamo anche in occasione di “Autunno in Barbagia” perché è un dolce molto richiesto. I dolci di contorno di questo pane sono i papassini bianchi e neri».