Sollevare lo sguardo e farsi rapire dalle luci che brillano nell’Universo, stelle così vicine eppure tanto lontane, nello spazio e soprattutto nel tempo. Il fascino dell’infinito. Chi almeno una volta non ha sognato col naso all’insù l’imperscrutabile?
Non è un caso se l’osservazione del cielo notturno nel corso dei secoli ha dato vita a personaggi e storie mitologiche che a dispetto dello scorrere del tempo resistono nelle lingue e nelle culture dei popoli. La Sardegna non fa eccezione e delle quasi 400 che hanno un nome la più conosciuta, la Polare, i sardi la chiamano Su Norte.

In un Cosmo senza confini non si può immaginare che solo la Terra sia abitata da esseri senzienti, anche se non ci sono tracce. Gli astronomi continuano a cercare. Così, frugando con occhi ipertecnologici meno di un mese fa hanno captato qualcosa di sensazionale che ha addirittura confermato l’esistenza dei Buchi Neri: una rete mondiale di radiotelescopi ha osservato, provenienti da zone distanti anche due miliardi di anni luce, una potente emissione di raggi Gamma. Si tratta di grandi quantitativi di materia capaci di trasformarsi in pochi istanti in energia. Quelli registrati lo scorso 9 ottobre, arrivati a noi con uno strabiliante ritardo di due miliardi di anni, sembrano dovuti al collasso di una stella massiccia che implodendo ha dato vita a un Buco Nero.

La Sardegna dà il suo contributo con un importante osservatorio astronomico: a Selargius, dove lavorano tante persone,alcuni sono radioastronomi, riescono a vedere lontano miliardi di anni luce. Il loro lavoro incanta gli adulti ma anche i bambini. Che, si sa, guardano innanzitutto alla Luna: la vedono vicina che quasi si può toccare, e fanno tante domande. 

Maria Francesca Chiappe

***

***

Un lampo Gamma svela la nascita di un Buco Nero

La prima immagine di un buco nero (foto Ansa)
La prima immagine di un buco nero (foto Ansa)
La prima immagine di un buco nero (foto Ansa)

Negli ultimi tre anni gli occhi dell’umanità hanno visto per la prima volta le immagini di due grandi Buchi Neri. Osservati con una rete mondiale di radiotelescopi, ci hanno dato la prova dell’esistenza dei Buchi Neri, confermando alcune ipotesi sul loro aspetto e natura. È di pochi giorni fa la notizia che telescopi dislocati nello spazio e sulla Terra hanno, osservato il 9 ottobre, una potente emissione di raggi Gamma.

Per gli astronomi questa esplosione proveniva da un Buco Nero nascente. I lampi Gamma, chiamati Gamma Ray Burst (GRB), sono potenti emissioni di energia, provenienti da zone remote del nostro Universo, distanti miliardi di anni luce. L’energia di un lampo Gamma viene generata in pochi secondi. La sua intensità è pari o superiore a quella prodotta da una stella come il Sole nell’arco di tutta la sua esistenza. Queste esplosioni nascono in fenomeni violenti, dove in pochi istanti grandi quantità di materia si trasformano in energia. Fusioni di coppie di stelle di Neutroni, scontri fra un Buco Nero e una Stella di Neutroni, sono alcuni degli eventi che potrebbero dare origine a un GRB. Ma l’imponente lampo Gamma registrato i primi di ottobre sembra sia nato nel collasso di una grande stella distante almeno 2 miliardi di anni luce. Una stella massiccia, giunta ormai alla fine della sua vita, che implodendo ha dato origine a un Buco Nero, liberando un’enorme quantità di energia. Il 9 ottobre abbiamo registrato quello che possiamo definire il “primo vagito” di un Buco Nero, giunto a noi con un ritardo di circa 2 miliardi di anni.

Le domande

Buchi Neri, ma cosa sono? Resti di stelle massicce descritti dalla Relatività Generale di Einstein. Pozzi gravitazionali che fino a 30 anni fa erano argomento di discussione per fisici teorici e astrofisici. Oggi invece ne parlano anche i bambini e sono protagonisti di colossal cinematografici di grande successo. Un enorme impulso alla loro popolarità fu dato dal celebre libro del fisico inglese Stephen Hawking, “Dal Big Bang ai Buchi Neri”: descrive questi strani oggetti celesti in grado di imprigionare la luce piegando lo spaziotempo. Un Buco nero è la manifestazione estrema della forza di gravità, la forza che ci tiene incollati alla superficie della Terra e che governa il moto dei pianeti attorno al Sole. Fu Newton nel 1687 a scoprire la forza di gravità, descrivendone il suo comportamento con la legge della Gravitazione Universale.

Grazie a questa legge possiamo fare un po di conti. Ad esempio è possibile per un essere umano abbandonare la Terra, ma solo se raggiunge la velocità di fuga di 40.000 km/h. Se invece ipotizziamo di concentrare la Terra in un raggio 1.000 volte più piccolo, per lasciarla si dovrebbe raggiungere l’incredibile velocità di 1,3 milioni di km/h. Sulla base di queste considerazioni nel 1783 lo scienziato inglese John Michell ipotizzò l’esistenza di una Dark Star. Stella di massa tanto grande e così concentrata che neppure la luce avrebbe potuto fuggire, rendendola di fatto una stella nera e oscura. Passarono gli anni e quando nel 1915 Albert Einstein pubblicò la teoria della Relatività Generale, l’astronomo tedesco Karl Schwarzschild, combattente sul fronte russo, prese il suo lavoro e trovò la prima soluzione a quelle equazioni. Il risultato che ottenne descriveva uno strano oggetto, tanto denso da curvare lo spazio tempo e tale da non permettere alla luce di uscire, una Dark Star. I

Il nome

l nome Buco Nero arriverà solo nel 1967. Coniato dall’astrofisico John Archibald Wheeler, descrive meglio la natura di questi oggetti, simili a un pozzo circondato da un bordo oltrepassato il quale nulla, neppure la luce, può ritornare indietro. Ma quel confine non rappresenta solo un punto di non ritorno, è un guscio che ci impedisce di osservare cosa accade oltre, un orizzonte che nasconde gli eventi.

Cosa c’è dunque nell’abisso di un Buco Nero, oltre l’orizzonte degli eventi? Secondo la Relatività Generale si nasconde una singolarità, un luogo con densità infinita, dove le leggi della fisica non hanno più valore, compresa la stessa Relatività. Il mistero della singolarità agita i sogni dei fisici teorici. Forse sarà la descrizione dell’infinitamente piccolo, la meccanica quantistica, a venirci in aiuto per comprendere cosa c’è oltre l’orizzonte degli eventi. Ma quello che accade in prossimità di un Buco Nero sembra paradossale. Come ben raccontato nel film Interstellar, quando i protagonisti viaggiano in prossimità del Buco Nero, il tempo rallenta tanto da sembrare quasi annullarsi. Se ai sensi dell’uomo il tempo scorre in maniera uniforme ed immutabile, Einstein dimostrò invece che il tempo è relativo e scorre in modo diverso a seconda delle condizioni in cui ci si trova. La materia per Einstein agisce sullo spaziotempo deformandolo. A causa di questo un osservatore che si avvicina a un corpo celeste subisce un rallentamento nello scorrere del tempo. La Terra stessa crea questo effetto, impercettibile ai nostri sensi, ma importante quando con i satelliti GPS calcoliamo la posizione di un oggetto sul nostro pianeta. Se la Terra collassasse in un Buco Nero tutto cambierebbe. Il suo raggio sarebbe inferiore a un centimetro e il tempo rallenterebbe notevolmente. Un ipotetico astronauta che vivesse sulla Luna, guardando un suo amico in prossimità del Buco Nero Terra non lo vedrebbe mai invecchiare. Mentre gli abitanti della Terra vedrebbero gli astronauti invecchiare e morire in poche ore o minuti. Un Buco Nero non è dunque solo un pozzo, è anche una potente macchina del tempo.

A lungo gli astronomi hanno cercato gli indizi dell’esistenza dei Buchi Neri e i fisici hanno provato a simulare il loro comportamento e la loro forma. Dalle osservazioni dei grandi Buchi Neri al centro delle galassie e dal quel vagito proveniente da una distanza di oltre due miliardi di anni luce forse riusciremo a gettare una luce oltre l’abisso dell’orizzonte degli eventi, per svelare i misteri dei Buchi Neri.

Manuel Floris

***

***

Su Carru Mannu e Su Norte: il cielo d’autunno in Sardegna

(foto Floris)
(foto Floris)
(foto Floris)

L'osservazione del cielo notturno ha sempre suscitato meraviglia nell’uomo. Volgendo lo sguardo alla volta celeste e interrogandosi sul significato del cosmo ha unito le stelle per formare delle figure: le costellazioni.

Personaggi e incredibili storie sono stati rappresentati nel cielo. Tracce di questo mondo mitico sono rimaste nelle lingue e nelle culture dei popoli, anche nella lingua sarda. Se osserviamo il cielo in queste notti è facile riconoscere in direzione nord le sette stelle del Grande Carro, Su Carru Mannu. È il più antico asterismo di cui si ha notizia, e in Sardegna porta diversi nomi: Sete Frades, – Sette Fratelli, forse un riferimento alla formazione montuosa a nord-est di Cagliari - oppure Sete Bacas, le sette vacche, dal nome latino della costellazione «septemtrio», i sette buoi, da cui settentrione. Nel Grande Carro è presente una coppia di stelle molto vicine, Mizar ed Alcor, che in sardo prende il nome di Sos Turbadores, i due anelli di metallo attraverso i quali le briglie, sos frenos, permettono di guidare, turbare, i buoi.

Se quasi 400 stelle hanno un nome, la più conosciuta è sicuramente la Stella Polare. Meno luminosa di altre, è l’unica stella che appare ferma nella notte, mentre tutto il cielo pare girarle attorno. Per trovarla si uniscono le due stelle posteriori del Carro e si tira una linea fino a trovare una stella abbastanza brillante, la Polare. Chiamata in sardo Su Norte, con altre sei stelle forma il Piccolo Carro, Su Carru Piticu. I due carri appartengono a costellazioni più grandi, l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore. L’Orsa è una figura anch’essa molto antica, di origine indoeuropea, ma che si ritrova anche in nord America. Sempre verso nord, opposta al Grande Carro rispetto alla Polare, si trova Cassiopea. Inconfondibile per la sua forma a W, per i Greci rappresentava la regina di Etiopia. La raffigurazione più comune la vede seduta sul trono e in sardo è conosciuta come Sa Trona. In questa zona del cielo i Greci hanno ambientato un grande mito, con tutti i protagonisti rappresentati da costellazioni. Cassiopea si vantò di essere più bella delle Nereidi, ninfe del mare, scatenando l’ira di Poseidone che inviò il mostro Cetus, la Balena, per devastare l’Etiopia. Per placare l’ira del dio, il re Cefeo ,sentito un oracolo, decise di offrire in sacrificio al mostro la figlia Andromeda. Ma intervenne in tempo Perseo, che in groppa al cavallo alato Pegaso, uccise il mostro e sposò la fanciulla. Fra queste costellazioni, quella di Perseo è nota in Sardegna come Su Corru 'e Chervu, il Corno del cervo.

A un osservatore attento il cielo appare in movimento, con le stelle che si muovono nella notte da est verso ovest. Se all’inizio della sera il Triangolo Estivo formato dalle stelle Vega, Altair e Deneb ci sovrasta, con il calare della notte volge al tramonto, lasciando spazio alle costellazioni invernali che si affacciano a est. Fra queste, nella costellazione del Toro, troviamo un piccolo gruppo di stelle, le Pleiadi. Se per i greci le Pleiadi erano sette sorelle, nel nord Sardegna sono note come Sos Puddighinos, le Gallinelle. In tutta la Sardegna sono però conosciute come Su Budrone, il grappolo d’uva, e il loro sorgere serale in autunno segna l’inizio delle transumanze verso la pianura: «Cando su Budrone betat a mare est ora de calare in Campidanu».

Fabrizio Pedes

***

***

«A Selargius studiamo il cosmo. Alieni? Improbabile essere soli»

Emilio Molinari (foto L'Unione Sarda)
Emilio Molinari (foto L'Unione Sarda)
Emilio Molinari (foto L'Unione Sarda)

Il primo ricordo, «il più lontano», è un planetario tascabile Hoepli avuto in regalo. «Una cosa incredibile, aveva pagine semi circolari che si potevano far ruotare e mostravano la posizione delle costellazioni nel cielo». Qualche anno dopo, alle Superiori, la scoperta del telescopio: un piccolo tubo con una lente di 6 centimetri «con cui ancora ogni tanto guardo Saturno». Oggi usa una parabola a onde radio da 64 metri in Sardegna dopo essersi servito di due telescopi ottici più piccoli ma molto potenti alle Canarie e in Cile.

Il bambino che mezzo secolo fa alzando gli occhi al cielo era rimasto meravigliato dalla bellezza delle stelle è diventato un ricercatore che studia l’Universo, osserva pianeti e galassie e dirige infrastrutture fondamentali per scoprirne i dettagli . Un astrofisico. Sbarcato in Sardegna dopo aver diretto per 9 anni alle Canarie il Telescopio nazionale Galileo, coordina un team di 70 persone che studiano il cosmo tra Selargius e San Basilio come direttore dell’Osservatorio astronomico di Cagliari, una delle 17 strutture di ricerca che fanno capo all’Istituto nazionale di astrofisica. Emilio Molinari ha 59 anni, è originario di Saronno, è sposato, ha due figli e ha la passione dell’Astronomia da sempre. Dal 2017 è direttore dell’osservatorio astronomico di Selargius, dal quale dipende il grande radio telescopio del Gerrei, «uno dei migliori e più sensibili a livello mondiale». Dal piccolo strumento di pochi centimetri utile all’osservazione diretta, «spesso dalla terrazza di casa lo punto verso il cielo e guardo», alla gigantesca parabola che capta le onde radio e le trasforma in suoni, immagini, grafici. Un salto enorme, tante responsabilità in più. Con lo stesso entusiasmo delle origini.

Direttore, cosa cercate a Selargius?

«Ci sono diversi gruppi di lavoro. Molti sono radioastronomi. Le onde radio ci consentono di osservare quel che con la luce normale non ci è consentito vedere. Per esempio puntiamo alle più grandi strutture dell’Universo, come gli ammassi di galassie. Riusciamo a vederne anche alcune lontane miliardi di anni luce».

Quali scoperte avete fatto?

«Tra le più recenti e importanti c’è l’esplosione forse di una magnetar, una stella con un campo magnetico enorme».

Quali sono le principali attività scientifiche oggi?

«Lo studio delle galassie e delle pulsar, stelle di neutroni che emettono fasci di onde, veri fari nello spazio. Ma anche l’osservazione del sole, visibile col radio telescopio anche se piove: le previsioni meteo del Sistema solare sono importanti per prevenire le tempeste solari che possono danneggiare il funzionamento delle tante sonde spedite verso i pianeti e dei satelliti ormai di uso quotidiano».

Quando è nato l’Osservatorio?

«Nel 1899 a Carloforte. Era una stazione creata per osservare il passaggio delle stelle e calcolare il tempo. Ce n’erano altre quattro o cinque al mondo. Poi nel 1979 si è passati a Poggio dei Pini, Capoterra, dove un raggio laser veniva sparato verso i satelliti e tornava indietro per misurare la posizione del paese sulla sfera terrestre: serviva a capire come si spostano le varie zolle tettoniche. Intorno al Duemila con l’astrofisico Nichi d’Amico, scomparso nel 2020, si è deciso di costruire a San Basilio il Sardinia radio telescope, gestito dall’Osservatorio. La logica conseguenza fu costruire un quartier generale vicino a Cagliari ma non troppo lontano da San Basilio, così ci trasferimmo nell’ex polveriera di Selargius riadattata a Campus della scienza. Inaugurato nel 2013, è ancora in fase di espansione».

Che ruolo ha l’Isola nell’osservazione del cosmo?

«Il radiotelescopio non è tra i più grandi ma è uno dei migliori, moderni e maggiormente sensibili a livello planetario. Ha un ruolo decisivo per diversi tipi di osservazioni e sarà ulteriormente perfezionato nel 2023 grazie a un finanziamento europeo di 18 milioni di euro. Capterà frequenze più alte, nell’ordine di 100 giga Hertz, e ci consentirà di vedere cose al momento non osservabili. Un livello raggiunto da pochi strumenti nel mondo. Inoltre l’Agenzia spaziale italiana utilizza il 20% del tempo osservativo per le comunicazioni interplanetarie e l’esplorazione spaziale dei nostri dintorni in collaborazione con la Nasa. Insomma, è uno strumento molto versatile».

Cosa fa un astrofisico?

«Ha diverse competenze. C’è il teorico che crea modelli e chi osserva, chi costruisce i telescopi e chi gli strumenti».

Chi lavora con lei?

«Circa 70 persone, in maggioranza sarde e giovani. Informatici, tecnici, amministrativi, astrofisici teorici e che scrutano lo spazio. Collaboriamo con colleghi di tutto il mondo, dal Canada agli Stati Uniti alla Cina per osservare sotto diversa luce gli stessi fenomeni. I radiotelescopi possono essere collegati virtualmente tra loro e osservare contemporaneamente il medesimo oggetto: si chiama “interferometria”, permette di sfruttare un radiotelescopio virtuale grande in pratica quanto la distanza tra i telescopi reali».

I non addetti ai lavori mostrano interesse per argomenti di questo tipo?

«Offriamo spesso un programma di divulgazione con la partecipazione di studenti e del pubblico, e ogni volta i posti si esauriscono. Tutti si sorprendono di scoprire quanto sia tecnologica la Sardegna. All’Expo del 2020 a Dubai è stato proiettato a ciclo continuo un documentario del regista Gabriele Salvatores: durava 20 minuti, a ogni regione italiana ne era dedicato uno. Per la Sardegna 20 secondi erano dedicati al Sardinia radio telescope».

Come funziona il radiotelescopio?

«Raccoglie le onde elettromagnetiche in arrivo dal cosmo e le convoglia in un ricevitore che le trasforma in un segnale elettrico e in un numero tramutati a loro volta in immagine, suoni, grafici».

Poco poetico rispetto all’osservazione dei pianeti e delle stelle del cielo.

«Per l’osservazione diretta serve quel telescopio con un rifrattore di pochi centimetri. Col “Srt” raccogliamo onde elettromagnetiche nel campo delle onde radio. Nessuno dei nostri sensi è utile per percepirle, quindi vanno trasformate in qualcosa di utilizzabile».

Allora cos’è l’Astrofisica?

«La ricerca della consapevolezza del nostro posto nell’Universo. Capire dove siamo e di cosa è fatto il cosmo. A volte serve a ridimensionarci».

Esistono altre forme di vita nell’universo?

«Non lo sappiamo. Non ne è stata trovata alcuna traccia. Però il numero di pianeti che sappiamo esistere nella galassia, e il numero enorme di galassie, rende statisticamente improbabile che la Terra sia l’unico pianeta con una vita intelligente».

E allora, è possibile che forme di vita intelligenti abbiano provato a contattarci?

«Partecipiamo al programma di ricerca di vita extraterrestre Seti perché sappiamo che il nostro non è l’unico Sistema solare. Quindi è importante cercare altre forme di vita. Ma al momento non ci sono prove né sospetti che qualcuno abbia provato a contattarci».

Lei pensa possa esserci vita su altri pianeti e in altre galassie?

«Sono un astrofisico, quindi ritorniamo nel campo della statistica. Ammetto che mi piacerebbe vivere il momento in cui si passerà alla certezza. Ora la nostra tecnologia ha ancora limiti».

Dove ci porterà la tecnologia?

«I progetti sulla radio astronomia sono internazionali e noi vi partecipiamo attivamente. Le centinaia di antenne collegate ci permetteranno di arrivare molto più lontano nello spazio e nel tempo captando segnali molto più deboli. Magari quelli di ipotetiche torri controllo per aerei su altri pianeti. Ci sono sempre le sorprese».

Andrea Manunza

***

***

Le curiosità dei piccoli – La Luna

La Luna (foto Ansa)
La Luna (foto Ansa)
La Luna (foto Ansa)

La Luna è il primo oggetto che resta impresso in un bambino davanti al cielo notturno. È grande e luminosa. Sembra misteriosa, ma così vicina da poter essere quasi toccata. Si vede in orari diversi e la sua forma sembra cambiare nel tempo. Con il passare dei giorni la Luna viene illuminata in modo diverso dal Sole, ha quindi un giorno e una notte come la Terra. Un “giorno lunare” è scandito dall’alternarsi delle fasi lunari, dura poco più di 29 giorni terrestri e dipende dal movimento della Luna attorno alla Terra. Ma la Luna nell’orbitare attorno al nostro pianeta ci nasconde un lato: come può accadere?

La Luna compie un giro completo attorno alla Terra in poco più di 27 giorni, lo stesso tempo che impiega per fare un giro su se stessa. Possiamo pensare alla Luna come innamorata del nostro mondo. Gli gira attorno senza staccargli mai gli occhi di dosso. L’amore della Luna non è altro che la forza di gravità che tiene legato il nostro satellite alla Terra e che ha orientato in 4,5 miliardi di anni la parte più densa e massiccia della Luna verso di noi.

Quanto è grande la Luna?

La Luna è più piccola della Terra. Se riduciamo le dimensioni della Terra a quelle di una grossa arancia, la Luna sarebbe grande più o meno come una noce, con il suo raggio 4 volte inferiore a quello del nostro pianeta.

Quanto è lontana?

La Luna non è sempre alla stessa distanza, ma più o meno si trova a 384.000 km, un numero così grande, da non essere compreso dalla nostra mente. Allora se prendiamo la nostra Terra nella forma di arancia e la Luna nella forma di una noce, dovremmo posizionare la noce a circa quattro metri dall’arancia, per riprodurre approssimativamente la distanza Terra-Luna.

Chi vive sulla Luna?

Sulla Luna non c’è vita. Manca l’acqua liquida e l’atmosfera necessarie a rendere abitabile la nostra Luna. Nel futuro forse ci vivrà l’uomo, costruendo basi sotterranee dove poter realizzare nuovi esperimenti scientifici.

Di cosa è fatta e quanti buchi ha?

La Luna è fatta di roccia come la nostra Terra. La sua superficie è ricoperta di pianure, montagne e vallate ed i “buchi” sono chiamati crateri. Ci sono almeno 700.000 crateri più grandi di un chilometro, nati a seguito della caduta di comete ed asteroidi.

Quanti astronauti sono stati sulla Luna?

Dodici astronauti hanno camminato sulla Luna, arrivandoci dopo un viaggio lungo poco più di 3 giorni. Sono state sei le missioni Apollo che sono riuscite a far scendere degli uomini sulla Luna, mentre la famosa missione Apollo 13 non riuscì ad allunare.

© Riproduzione riservata