Il primo allenamento di gruppo, quello vero, con le partitelle, le urla e tutto il resto, è andato. E lui, Walter Zenga, l'uomo nuovo di questa pazzesca seconda parte di stagione, ha capito subito che ha una bella macchina fra le mani. Dopo due mesi e mezzo chiuso ad Assemini, l'allenatore del Cagliari è determinato, sottolinea di avere già un ottimo rapporto con la squadra, da animale di campo scalpita e graffia. Di sicuro conta le ore che mancano alla sua prima volta in rossoblù.

Zenga, sente il campionato a un passo?

«Sì, adesso sì, anche se per me lo spirito di ogni allenamento non deve essere quello del "perché devi", della routine, ma perché devi sempre migliorarti, prepararti pensando alla partita. Concetto basilare, altrimenti se pensi alla situazione, al fatto che non puoi fare amichevoli, che sei stato fermo o quasi per due mesi, non vai avanti. Ora si fa sul serio. Guardo il lato positivo, sono ottimista».

La squadra sta sintonizzandosi con l'avvicinamento della prima palla al centro?

«La squadra mi ha colpito, chiunque di noi è contento di poter respirare di nuovo un po' di vita normale. Immaginate dei ragazzi professionisti che hanno passione e amore per il loro lavoro, che si ritrovano in un campo di calcio. Non vedevano l'ora».

C'è stata la cerimonia del peso, per ogni rossoblù, oppure Zenga non bada a questi dettagli?

«No, non li curo. Perché in questo momento mi preoccupa soprattutto la testa, l'aspetto psicologico, il fatto di poter spronare la squadra nella maniera giusta e farsi ritrovare pronti a giocare partite vere. Tornando al peso, a occhio mi sembrano tutti a posto. È giusto, sono dei professionisti».

Qual è l'ultima partita in cui è stato in panchina?

«Verona-Venezia 1-0, marzo 2019».

A un ex calciatore fra i top mondiali, nel suo ruolo, cosa manca di più dell'evento agonistico? La camminata negli spogliatoi pre-partita, l'atmosfera del campo?

«Paradossalmente, mi mancano più le notti prima e dopo la gara, assolutamente insonni. Ma sono molto difficili da spiegare a parole, certe emozioni personali, anche piccole. È molto più stressante l'ora e mezza prima o quella dopo, rispetto ai novanta minuti che volano via in un soffio».

Quali sono le paure, a parte quella normale di fallire?

«Penso che se hai delle paure, le trasmetti anche ai tuoi giocatori. Tu giocatore devi avere il coraggio di sbagliare, perché ci sono io a proteggerti. Il merito delle vittorie è dei giocatori, i demeriti me li prendo io. Loro devono essere tranquilli e sapere che possono anche sbagliare».

Ci sono calciatori che l'hanno colpita più di altri, nell'approccio al ritorno in campo?

«Non è corretto fare nomi, è un gruppo sano di persone che ha un intento comune. Tutti molto disponibili e motivati».

Un paio di giocatori del Cagliari hanno usato per lei la stessa definizione, un grande comunicatore.

«Mi piace il fatto che sto piano piano entrando nella loro testa, sto trasmettendo le mie idee. Il rapporto fra allenatore e giocatore deve essere onesto, le mie scelte non saranno mai dettate da altro se non per il bene della squadra. Se questo concetto arriva anche ai miei calciatori, io ho già vinto».

Questa pandemia ha riportato in tv i Mondiali del '90 e altre partite storiche con Zenga protagonista. Si è rivisto, nella solitudine di Assemini?

«No, mai. Non mi piace, pensi che a casa non ho neanche una registrazione, una partita del mio passato. Sono uno che crede che il passato sia passato, voglio vivere il presente, sono legato al cento per cento all'oggi, mi piace preparare il futuro senza pensare "io sono stato, io ho vinto"».

Cosa vuole dimostrare Walter Zenga alla Serie A di oggi?

«Ieri una persona mi ha detto "la gente che non ti conosce, pensa che tu sia molto farfallone, uno che non ci mette tanta attenzione", invece sei uno che vuole migliorarsi, che sa chiedere e sa ascoltare. Ecco, il concetto mi piace».

Hai mai lasciato Assemini? Hai fatto un salto a Cagliari?

«Sono a Cagliari, in questo momento. Bellissima città».

Ha un discorso pre-partita, stile Al Pacino in "Ogni maledetta domenica", magari prima della prima, oppure testa e cuore sulla Spal?

«No, un copia e incolla di cose già viste o sentite lo trovo sgradevole. Vivo i momenti, se dico tre parole personalmente, magari vengo apprezzato e capito meglio. Parlare e raccontarsi troppo può distrarre. Ho sperimentato diversi metodi, in questi anni, dal non fare il ritiro a dare la formazione poco prima di scendere in campo, ma soprattutto guardo il cuore della mia squadra».

Il campionato in pieno mercato, il caos contratti, l'eventualità di nuovi positivi in Serie A: si immaginava un ritorno così?

«Intanto, mi piace sottolineare che i dati sulla pandemia stanno migliorando. Poi, certo, valuto tutte le situazioni con cura, da allenatore, cercando di lavorare con l'obiettivo di giocare ogni due giorni sfruttando le cinque sostituzioni. Con i miei parlo di tutto, a me non interessa poi tanto il nome che c'è scritto dietro ogni maglia, ma il simbolo che c'è davanti. Io sono qui per trovare soluzioni».

Enrico Pilia
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