Misericordia è l'ultimo spettacolo scritto e diretto dalla nota regista palermitana Emma Dante e coprodotto dal Piccolo Teatro di Milano, fino al 5 giugno in tournée per varie tappe italiane.

La storia è semplice quanto toccante: tre donne, due siciliane e una pugliese, condividono uno squallido monolocale freddo e sporco. Di giorno sferruzzano a maglia e di notte vanno a battere le strade per guadagnarsi il pane.

Sono le tre madri adottive di Arturo, un bambino menomato mentale figlio della loro defunta coinquilina Lucia, morta dandolo al mondo, complice la violenza subita dal padre del bimbo, uomo che la malmenava senza pietà quando si trovavano soli in casa. La scena comincia sui rumori ritmici dei ferretti, mentre il bravissimo danzatore Simone Zambelli esegue una danza che ricorda un Buto giapponese. Un corpo poetico il suo, che impressiona e commuove.

Comincia poi una scena esilarante, alla quale il pubblico del Piccolo non riesce a trattenersi dal ridere rumorosamente: un dialogo delle tre donne in una sorta di grammelot alla Dario Fo, giocato con ritmo, intenzione e intonazione dalle superbe interpreti e performer Italia Carroccio (Bettina), Manuela Lo Sicco (Nuzza) e Leonarda Saffi (Anna).

A questo punto la vicenda si dipana davanti ai nostri occhi attraverso i racconti che le donne fanno ad Arturo, adesso in procinto di lasciare la casa natale per una vita migliore che le sue madri adottive hanno progettato per lui. Ed è questo l'atto di grande "misericordia", il profondo gesto di amore che le donne compiono lasciando che il piccolo, unica fonte di gioia e di unione tra loro, possa avere una vita migliore di quella che possono offrigli: "Speriamo che lui stia meglio e abbia una stanza tutta sua, con una finestra da cui entra il sole".

La scenografia è nulla: quattro sedie fronte pubblico e diversi oggetti scenici, disordinati come il monolocale immaginario in cui si svolge la storia.

Lo spettacolo dura un'ora, una sola ora densa di lacrime e gioia, di teatro e performance. Molte delle coreografie di Simone Zambelli sono improvvisate ogni giorno in scena, come ci spiega lo stesso danzatore: "Diversi dei momenti in cui ballo sono delle creazioni estemporanee a cui le attrici reagiscono in un lavoro di grande ascolto reciproco".

È stata la stessa Emma Dante a lasciarle questa libertà espressiva? "Si, assieme ad Emma abbiamo deciso una struttura abbastanza libera, dentro la quale mi muovo seguendo un motivo dominante, per esempio un impulso che parte dalla testa per poi muovere il resto del corpo, come avviene nella scena del cuscino".

A un certo punto sembra danzare un Sufi al centro del palco. Anche quello è frutto di improvvisazione? "Il movimento del cerchio rotante, tipico delle danze Sufi indiane, è stato in quel caso voluto espressamente dalla regista: l'idea di Misericordia è nata in lei vedendo, in una corsia di ospedale, un bambino autistico che girava su se stesso tutto il tempo ed era felice. La sera stessa vide me in scena in una danza simile, durante uno spettacolo, e decise che mi avrebbe voluto per il suo nuovo progetto. Così abbiamo tenuto quel movimento che è stato il seme di tutto".

Misericordia è una storia che parla di femminicidio, in un momento storico in cui purtroppo osserviamo un'impennata del fenomeno, è una vicenda che narra di prostituzione e di maternità, intesa dalla regista come un rifugio rassicurante.

Quella di Emma Dante è una poetica che con questo spettacolo-capolavoro si conferma sconvolgente e conturbante, specialmente nel saper contrapporre il grottesco della volgarità alla dolcezza della maternità.

Anima, carne e viscere per ricordare, a un pubblico estasiato poi esploso in un applauso sentito, la magia dell'illusione e dell'evocazione.
© Riproduzione riservata