Chi arriva, chi chiude la stagione e chi, invece, rischia di non tornare più sugli schermi degli spettatori. Grande fermento nel mondo delle serie televisive proposte dalle diverse piattaforme specializzate o dalle reti generaliste. Ma soffermiamoci sul caso più eclatante: "Ray Donovan" e l'appello del suo principale protagonista affinché gli spettatori di tutto il mondo si mobilitino per evitare la soppressione del titolo che ha tenuto banco dal 2013 ad oggi.

Per il grande noir interpretato da uno dei colossi dell'industria cinematografica americana, quel Liev Schreiber fresco di grande schermo per Woody Allen, pare non tiri aria buona dopo un progressivo, lento ma inesorabile calo di ascolti registrato negli ultimi tre anni. Un fatto fisiologico, dicono gli esperti, per ogni narrazione di medio successo dopo la quarta o quinta edizione. Solo che questa volta per evitare l'addio si è passati alla mobilitazione generale.

Ma esattamente cosa è successo? Andiamo per passi. Domenica 20 gennaio negli Stati Uniti per Showtime (il network di proprietà della Cbs) è andata in onda l'ultima puntata della settima stagione (in Italia è disponibile da martedì 28 sia su Netflix che su Rai 4) ed è sceso il gelo. Sul suo profilo Instragram Schreiber (52 anni, ex marito di Naomi Watts da cui ha avuto tre figli) ha pubblicato un post che ha allarmato tutti i fan. "Che viaggio fantastico è stato", ha scritto l'attore. "Ho letto i vostri commenti e la profusione di amore e sostegno per il nostro cast e la nostra troupe è stata davvero travolgente. So che la grande domanda che tutti ci stiamo ponendo è se ci sarà una stagione 8. La verità è che è nelle mani della rete. Quindi, se ne volete ancora, contattate @showtime, @raydonovan e @cbstv e fate sapere loro cosa ne pensate. In entrambi i casi è stata una corsa incredibile e tutti noi dobbiamo ringraziarvi per questo".

Certo Schreiber ha usato toni molto pacati ed eleganti (caratteristiche, dice chi lo conosce bene, che contraddistinguono l'artista nella vita privata) ma il messaggio è stato recepito forte e chiaro. I fedelissimi prima sono rimasti di stucco poi hanno iniziato il tam tam sui social media.

Che non tirasse aria buona per "Ray Donovan" gli addetti ai lavori lo sapevano già dalla conferenza stampa alla Television Critics Association. In quella occasione il presidente di Showtime Gary Levine aveva dato un'indicazione sul futuro delle storie della famiglia criminale Donovan: "Non abbiamo ancora stabilito nulla. Ma sin dall'inizio avevamo in mente sette o otto stagioni. Quindi mi sembra corretto dire che non siamo lontani dalla fine".

Cosa produrrà ora la mobilitazione del pubblico? Vediamo cosa è successo in passato. L'esempio è di casa nostra e riguarda la fiction di Rai 1 "Il paradiso delle signore" salvata dalla cancellazione a furor di popolo televisivo. Mentre "Sense8", sempre su sollecitazione degli spettatori è ritornato in forma di lungometraggio. Come andrà per "Ray Donovan" per ora è impossibile saperlo.

Di sicuro la serie ci ha regalato sino ad oggi una delle migliori narrazioni noir dell'ultimo decennio. Ci ha sottolineato la grande bravura di Liev Schreiber, un antieroe con un passato devastante, da bambino fu vittima di un prete pedofilo condividendo questa triste sorte con il fratellino Bunchy (Dash Mihok). Ha dato una nuova maschera all'incredibile attore britannico Eddie Marsan ma, soprattutto, ha riportato in scena Jon Voight, nella finzione è il capo famiglia dei Donovan. Il suo merito principale non è quello di essere il padre di Angelina Jolie, bensì di aver dato vita a personaggi indimenticabili: come il gigolò texano Joe Buck in "Un uomo da marciapiede" con Dustin Hoffman o il reduce del Viet Nam Luke Martin in "Tornando a casa" che gli valse nel 1978 l'Oscar come attore protagonista.
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