"'O famo strano? Famolo!". L'immortale battuta è tratta da "Viaggi di nozze", la commedia in episodi che lanciò Claudia Gerini nel '95, entrando subito a far parte dell'immaginario popolare. Carlo Verdone è così, in quarant'anni da regista e attore non ha mai smesso di raccontare gli italiani e la loro umanità fatta nevrosi, debolezze e malinconie, cinismo e tratti caricaturali più veri del vero. "Un sacco bello", "Compagni di scuola", "Perdiamoci di vista", "Ma che colpa abbiamo noi", "Il mio miglior nemico": la lista dei successi è lunga, ogni film è anche uno spaccato della nostra storia.

Per i suoi numerosi fan in Sardegna è arrivato il momento più atteso, il Premio alla carriera che l'associazione L'Alambicco gli conferirà domani sera al THotel di Cagliari. Si comincerà alle 19 con il concerto per piano solo di Romeo Scaccia, che eseguirà le musiche più evocative dei suoi film. Dopo la premiazione ci sarà l'incontro con il pubblico, coordinato da Alessandro Macis e dal critico cinematografico Mario Patané.

Come iniziò il suo amore per il cinema?

"Alle elementari mio padre Mario prese a portarci a vedere i film di Jerry Lewis, i western, i classici d'azione. Solo più avanti compresi chi era mio padre, l'uomo che aveva portato la cattedra di Storia e critica del cinema in Italia. Come racconto nel libro 'La casa sopra i portici', da noi erano ospiti abituali Federico Fellini come Vittorio De Sica. Negli anni Sessanta, con la tessera del cineclub divenni uno spettatore onnivoro, dall'underground americano ad Alberto Sordi".

Ha condiviso con Sordi il set di "Troppo forte" e "In viaggio con papà", cosa ricorda di lui?

"È stato un gigante della commedia in bianco e nero, da 'I vitelloni' a 'Lo sceicco bianco' (per citare Fellini), un attore unico, lontano dalle accademie. Nel privato era un uomo schivo, viveva nelle sue stanze come un monaco in un monastero. Condividemmo una grande amicizia, e non era facile essergli amico. In casa non aveva fotografie dei colleghi - a parte uno scatto di Soraya - solo dei famigliari e dei Papi. Era molto cattolico, ogni mattina lanciava una rosa a una statua della Madonna nel suo giardino".

Se dovesse scegliere due film di svolta nella sua carriera?

"Borotalco, nel 1982, fu il più importante: dimostrai che non ero solo un virtuoso dei film di personaggi come 'Un sacco bello', potevo reggere un unico ruolo per tutta la trama; vincemmo cinque David di Donatello. Mentre 'Compagni di scuola', del 1988, fu la dimostrazione che potevo essere un vero regista, dovendo dirigere oltre venti attori in interni. Ho sempre visto la regia in modo semplice e lineare; però so valorizzare al meglio i miei attori e soprattutto le mie attrici, da Claudia Gerini a Margherita Buy, passando per Asia Argento".

Tra queste anche Geppi Cucciari in "Grande, grosso e... Verdone".

"Geppi è una persona fantastica, siamo amici, le voglio bene. È molto professionale e sa come stare su un palco. Spesso mi chiama dai suoi programmi alla radio e io non mi tiro mai indietro. Tre anni fa abbiamo realizzato anche un video per Mina e Celentano, 'Se mi ami davvero'".

Nel suo prossimo lavoro, "Si vive una volta sola", torna al film corale e a vestire i panni di un medico.

"Uscirà il 27 febbraio, non voglio rovinare la sorpresa - lasciatemi però sfatare un mito: non sono mai stato ipocondriaco e la medicina è soltanto una passione privata; non ho mai tentato di sostituirmi a un professionista, mi limito solo a dare dei consigli ben misurati. Poi è vero, se a suo tempo non avessi fatto a tre persone tre diagnosi che erano sfuggite persino ai primari, forse ora non sarebbero vive, ma il resto appartiene alla leggenda".

Quali sono le principali nevrosi dei nostri giorni?

"L'ansia e la depressione stanno crescendo, mancano i punti di riferimento nella società. Soprattutto per i più giovani, che anche dopo la laurea spesso vengono respinti dal mondo del lavoro. La globalizzazione e Internet ci hanno omologati e questo non è stato un bene. Oggi sarebbe molto più difficile trovare dei nuovi personaggi per un mio film, hanno tutti i tatuaggi e i capelli come i calciatori. Certo, pure i politici non offrono un bel modello: sbagliano i congiuntivi e sono schiavi dei sondaggi, più che pensare al futuro dei cittadini guardano alla prossima scadenza elettorale. Povera Italia".

Luca Mirarchi

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